TORINO 24 – "Noroi/The Curse" di Koji Shiraishi (Detours)

Un horror che guarda a "Blair Witch Project" attraverso l'indagine di un reporter del paranormale nel passato di un Giappone ancestrale: ed è proprio la componente ritualistica e spiritica a conferire a una struttura che sa di già visto una forza mitopoietica che affascina lo spettatore

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E' ancora tempo di horror e l'occasione è quantomai interessante se a essere presentato è un J-horror, ovvero un film realizzato in quel Giappone che nel decennio appena trascorso tanto ha dato al genere. Nessun nome famoso dietro la macchina da presa, non in Occidente almeno: il film proposto nella sezione Detours è infatti realizzato da un director poco più che trentenne, Koji Shiraishi, che in patria si è fatto conoscere attraverso alcuni lavori per la televisione. E in effetti non stupisce che la sua incursione nel genere proponga, nel ruolo di protagonista, un reporter del paranormale, Kobayashi, il quale indaga su un antico rituale utilizzato in una zona ormai disabitata dell'Arcipelago per evocare il demone Kagutaba. La struttura narrativa di Noroi è comunque in bilico tra realtà e finzione, secondo un modello che si può agevolmente far risalire all'americano Blair Witch Project: quello che infatti vediamo è un montaggio dei materiali lasciati da Kobayashi, scomparso dopo la conclusione delle indagini, e che alterna le riprese dell'investigatore con alcuni materiali di repertorio presi da trasmissioni televisive giapponesi.

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La televisione con la sua enfasi sembra essere al centro di una certa volontà demistificatoria in favore di una realtà fatta di gente comune che vive fianco a fianco con l'orrore: sensitivi in preda a perenni crisi di follia, una donna che forse costituisce la chiave di soluzione del mistero e una giovane attrice al centro della macchinazione ordita dal Demone, a voler complicare ulteriormente il rapporto realtà/finzione che regge tutta l'impalcatura del film.

Il modello narrativo perfettamente codificato rischia in verità di soffocare già in partenza le ambizioni del film, poiché il rischio del già visto e sempre in agguato e l'andirivieni tra materiali di repertorio e i filmati di Kobayashi rischia di risultare meccanica giustapposizione di scene. Anche il crescendo narrativo, che si attua come da prassi dopo metà proiezione, sebbene condotto con gusto, è ancorato ai binari del prevedibile. Dove il film riesce a surclassare però l'ingombrante confronto con i modelli è nella capacità di mescolare al racconto metanarrativo il gusto mitico per una ritualità che è tipica dell'immaginario spiritista giapponese: non solo reminiscenze da Ring e dalle sue più celebri icone, ma un insieme di elementi scenografici che ritornano (i nodi, i disegni inquietanti che riverberano arcaiche iscrizioni sulla roccia, antiche pergamene che contengono i fondamenti dei rituali esorcistici) permettendo al film di sfoggiare una qualità mitopoietica mancante in Blair Witch Project e nei suoi epigoni. Per questo motivo alla normale esigenza di atterrire il pubblico subentra ben presto un'altra emozione, che è quella della fascinazione: Noroi è un film affascinante, il che, decisamente, non è poco. La produzione è di Taka Ichise, cui già si devono opere significative come Dark Water di Hideo Nakata, Ju-On/The Grudge di Takashi Shimizu, oltre alla fondamentale saga di Ring.

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