TORINO 30 – "28 Hotel Rooms", di Matt Ross (Festa Mobile)
Esordio alla regia del giovane attore Matt Ross, una storia d'amore nel segno di Jason Reitman e Richard Linklater. La particolarità del film sta nell’azzerare ogni coordianata spaziale (gli alberghi, il “non luogo” per eccellenza, le 28 stanze diverse che segneranno una frammentata relazione) e temporale (sappiamo solo indirettamente che il loro rapporto sta andando avanti per anni) inabissando anche ogni connotazione identitaria (non sapremo mai i loro nomi, sono solo “un uomo e una donna”). Qualche ingenuità registica di troppo non rovina un fim sincero e mai banale
Ma la particolarità del film sta nell’azzerare ogni coordianata spaziale (gli alberghi, il “non luogo” per eccellenza, le 28 stanze diverse che segneranno la frammentata relazione) e temporale (sappiamo solo indirettamente che il loro rapporto sta andando avanti per anni) inabissando anche ogni connotazione identitaria (non sapremo mai i loro nomi, sono solo “un uomo e una donna”), per tentare una archetipizzazione spinta che universalizzi il sentimento. E il lavoro sui caratteri, sulle dinamiche di coppia, sulla difficoltà/paura di ogni investimento emotivo è innegabilmente convincente: l’albergo diventa un oltre il mondo ufficiale dove poter essere veramente se stessi, poter dar sfogo al desiderio represso, in contraddizione con la “cattività” dove si è confinati. Il film stesso è tutto confinato in 28 stanze e fa una fatica immensa a “uscire all’aria aperta” come brama l’uomo in uno dei suoi sfoghi più plateali. Come se il desiderio lo si potesse raggiungere sempre e solo al di fuori di un’identità costituita che comunque va difesa strenuamente: la donna non intende minimante lasciare il marito e la figlia.
Se il film mostra qualche cedimento è nel mero dialogo emozionale con lo spettatore, forse un po’ raffreddato dall’estetizzazione spinta di una regia che tende a “mostrarsi” più del dovuto: continui primissimi piani, fotografia patinata, qualche accelerazione cool. Insomma tutto un armamentario che si sarebbe potuto tenere a bada vista la presenza di due ottimi attori e di una sceneggiatura così complessa e sfaccettata. Ma superata la smania dimostrativa, questo è un film che “rimane dentro”, comunque, per la sua capacità di dire qualche verità non banale sull’amore. Sulle responsabilità. Su quella atavica e incontrollabile paura di essere felici.