“Underworld: Il risveglio”, di Måns Mårlind e Björn Stein

Kate Beckinsale in Underworld: Il risveglio
Davvero, Underworld: Il risveglio sarebbe potuto essere il nuovo Resident Evil: Afterlife di Paul W.S. Anderson, autentica pietra angolare di ibridazione/contaminazione filmico-videoludica, invece sembra di assistere a uno degli esperimenti meno ispirati di Tarsem Singh o al video murale di un Marco Brambilla in sedicesimo, nonostante i due registi svedesi tentino anche di impostare un percorso personale disseminato di specchi, riflessi e superfici: resta comunque l’impressione che i due si chiedano a ogni inquadratura come siano capitati in un progetto del genere

 

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Kate Beckinsale in Underworld: Il risveglio di Måns Mårlind e Björn Stein

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Se Måns Mårlind e Björn Stein, che pure non mancano di un certo talento visivo, avessero avuto un grammo del genio di Jonas Åkerlund – tanto per rimanere in Svezia –, questo Underworld: Il risveglio sarebbe davvero potuto essere il nuovo Resident Evil: Afterlife di Paul W.S. Anderson, autentica pietra angolare di ibridazione/contaminazione filmico-videoludica con uno straordinario corpo-cinema replicante (Milla Jovovich) e un utilizzo del 3D che ha donato consistenza materica alla possente Outsider degli A Perfect Circle remixata da Renholdër. Sembra piuttosto di assistere a uno degli esperimenti meno ispirati di Tarsem Singh o al video murale di un Marco Brambilla in sedicesimo, quest’ultimo che – a conti fatti – non necessita nemmeno del 3D ed è un peccato non abbia avuto la stessa fortuna cinematografica dei due svedesi dopo il sottovalutato Demolition Man.
Prodotti da Len Wiseman, già regista dei primi due episodi e di un interessante – ma niente più – reboot di Die Hard, Mårlind e Stein provano a impostare un percorso personale disseminato di specchi, riflessi e superfici, metafore di personaggi dall’identità doppia, tripla, quadrupla, come la figlia quattordicenne di Selene, metà vampira e metà licantropa; e aggiornano il consueto scenario gotico-bondage della saga – riciclato da Dark City e Matrix – ai tempi di Twilight, senza però infondere quella scintilla mélo che accendeva i film di Catherine Hardwicke, Chris Weitz e Bill Condon. Rimane quindi appena abbozzato il cortocircuito innescato da una tale dichiarazione di poetica (che tale non è) e il mezzo tecnologico utilizzato, ovvero l’impressionante mdp digitale Red Epic a 5K (più del doppio di un normale dispositivo Full HD), capace di girare in 3D grazie a uno splitter della 3Ality Technica che – dividendo la luce in due parti – permette di riprendere in stereoscopia anche con una sola videocamera non tridimensionale.
Dopo di che, buio pesto. Siamo al punto di partenza. Underworld 4, appesantito da una scrittura pasticciata a cui nemmeno l’esperto J. Michael Straczynski è riusciuto a mettere una pezza, è il logico prodotto di un art director (Len Wiseman) e di due anonimi registi di serie TV (Mårlind e Stein) che sembrano chiedersi a ogni inquadratura come siano capitati in un progetto del genere.

Titolo originale: Underworld: Awakening
Regia: Måns Mårlind e Björn Stein
Interpreti: Kate Beckinsale, Stephen Rea, Michael Ealy, Theo James
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 88’

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