Une femme de notre temps, di Jean-Paul Civeyrac

Un thriller con le caratteristiche di un revenge-movie con sottotrame trascurate o poco incisive. Buona comunque la prova di Sophie Marceau. Piazza Grande

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Une femme de notre temps è un thriller con le caratteristiche di un revenge movie. Juliane Deroux, la protagonista, è un personaggio complesso: un integerrimo sovrintendente della Gendarmeria ed una scrittrice di successo, sposata con Hugo, che invece di professione fa l’agente immobiliare. Una vita all’apparenza perfetta, che però è stata scossa, poco tempo prima, dalla morte della sorella per suicidio e resa totalmente instabile dal sospetto di avere un marito falso e bugiardo.

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Jean-Paul Civeyrac, giunto al decimo lungometraggio, prova a ricostruire un quadro di disgregazione psicologica attraverso la paranoia ed il dolore, lasciando a Sophie Marceau il compito di restituire un personaggio sempre più accigliato, caduta dentro un incubo da cui non può svegliarsi. Nei fatti l’attrice interpreta un’eroina spogliata via via dalla sua stessa armatura, lasciata sola in un’enorme casa di campagna insieme ai fantasmi che la ossessionano. O lanciata sulle tracce di un inganno da scoprire.

Il tradimento, l’inaffidabile comportamento dell’uomo, le affidano il ruolo di una donna forte ma piegata nelle certezze, sempre più disillusa e meno disposta al perdono. L’iniziale sicurezza è sottolineata dal rispetto che incute tra i colleghi la rendono inflessibile e razionale, come pure le riprese delle sedute di allenamento nel bosco di tiro con l’arco. Insomma è una donna attenta, precisa. La buona prova dell’attrice, forse persino contenuta da alcune scelte del regista, resta dunque la parte meglio centrata. Scarso invece lo sviluppo di tutti i ruoli secondari come delle sottotrame, trascurate e poco incisive. Con sorpresa, nonostante le mancanze dovute alla sceneggiatura, il film riesce comunque a tenere ritmo, spinto da un aspetto emotivo interessante, complicato dai rimorsi di una perdita evitabile, e da una buona preparazione della fase finale. Tolto qualche piccolo flashback e qualche premonizione onirica, la trama infatti si stende in un lasso di tempo di pochi giorni, uno schema adatto a fare salire la tensione fino al climax con un escalation. Ma non è certo sufficiente. Quello che sembra voler fare Civeyrac è di attualizzare una tematica abusata, quella dell’infedeltà dell’uomo, in un discorso in linea con i tempi, come sembra dal titolo originale.  Con l’intento quasi fatalista di una  fase distruttiva spinta oltre il limite e lasciata correre via, per poi correggere frettolosamente il tiro, fare un passo indietro, ed ottenere una conclusione difficile da credere. Il difetto maggiore sembra proprio questa linea di ambiguità dettata dallo smarrimento di Juliane, in un disegno che lascia uno sviluppo incerto e quasi casuale delle situazioni, e rende il messaggio da trasmettere poco spontaneo, contradittorio. E così facendo lo fa suonare falso, e la trasforma quasi in una vittima, il contrario dell’assunto logico delle premesse.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2.33 (3 voti)
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