(unknown pleasures) – “Amores”, di Lorenzo Giovenga, Lucio Zannella, Francesco Chiatante, Giuliano Giacomelli
Dal sottobosco delle produzioni indipendenti, un interessante lavoro antologico in quattro episodi sui temi del sentimento, ma attento all'elaborazione ad ampio raggio su linguaggi e tipologie di racconto tra loro differenti: un'opera composita, che corteggia l'idea del mascheramento e della messa in discussione dei ruoli codificati dalla coppia
Strano paese l'Italia: sfibrato dalle perenni diatribe fra autorialità e genere, esprime un cinema ad andamento asincrono, sotto certi aspetti potenzialmente molto fertile, sotto altri trattenuto e poco aperto alla ricerca ad ampio raggio. La cosa ovviamente assume ben altri toni se si guarda al sottobosco delle produzioni indipendenti, pressoché inesplorato e troppo spesso anche racchiuso in dinamiche autoreferenziali, ma comunque pronto a recepire gli umori di nuove generazioni che hanno voglia di fare e di cercare la propria strada.
Accade così che, ad esempio, quattro giovani registi nati all'ombra del cinema di genere degli anni Settanta e Ottanta, decidano di unire le forze per riscoprire la formula del film a episodi, tale da favorire proprio quella elaborazione già evidenziata su linguaggi e tipologie di racconto tra loro differenti. Il titolo stesso, Amores – L'amore non ha “genere”, non a caso, gioca proprio con le possibilità della ricerca stilistica, all'interno di una cornice con un target ben definito e che si pone l'obiettivo di essere sì palestra per i talenti coinvolti, ma anche ipotesi di cinema popolare, attento ai gusti del pubblico, ma con un pizzico di curiosità e voglia di fare in più rispetto alla media. A scorrere i curricula dei quattro si nota infatti una formazione che spazia dalle passioni per l'horror, all'interesse per l'animazione e i linguaggi televisivi.
L'idea ombrello, capace di tenere insieme tutte queste suggestioni, è dunque quella dell'amore, che attraversa e lega tutti e quattro gli episodi e che conferisce al progetto una sua compattezza, pur nella diversificazione delle vicende e degli stili utilizzati. L'approccio è quello chiaramente low budget, sebbene ambizioso nel cercare i propri referenti in miti e archetipi che, sin dal prologo, chiamano in causa l'ermafrodito figlio di Ermes e Afrodite, e poi proseguono fra Orfeo e Euridice, Romeo e Giulietta, la Bella e la Bestia, Selene la dea della Luna. Il che, sia detto per inciso, è interessante nella misura in cui denota la voglia di elevarsi al di sopra delle facili convenzioni di genere, ma a tratti assume anche il sapore un po' artificioso della voglia di giustificare a ogni costo una struttura che avrebbe già di per sé la sua ragione d'essere: in questo senso, il prologo (con i bei disegni di Jessica Altera e l'animazione di Andrea Conticelli) affascina per la sua qualità pittorica, ma non dissipa la sensazione di un certo didascalismo. Meglio concentrarsi sui segmenti, per aggredire il film direttamente nelle carni e vedere quali spinte è capace di favorire.
Daphne, il primo episodio, è diretto da Lorenzo Giovenga, romano, proveniente dai cortometraggi e coautore nel 2010 dell'horror La progenie del Diavolo insieme a Giuliano Giacomelli. L'interesse per il fantasy a tinte gotiche si ritrova nella vicenda, che descrive l'ossessione amorosa di un uomo deforme, scansato dagli abitanti del suo paese, per Daphne, l'unica ragazza che si è dimostrata gentile con lui. La dimensione low budget si palesa con una certa evidenza all'interno di una vicenda che spinge lo spettatore a parteggiare per il “mostro”, salvo poi ribaltare tutto in un finale shock con una componente grafica che suggella una certa cifra grottesca dell'insieme.
Arianna, diretto da Lucio Zannella, è l'episodio più debole del lotto, a causa di uno sguardo che non riesce ad amalgamare la vicenda in primo piano con lo sfondo fornito da Vietri sul mare, generando un certo effetto cartolina. La storia si concentra sul fugace legame amoroso tra un “figlio del mare” (un pescatore del luogo) e una donna sposata, secondo uno schema dichiaratamente fatto risalire a certi mélo anni Cinquanta. Spicca soprattutto la fisicità degli interpreti, in particolare dell'attrice Giulia Morgani, che riesce effettivamente a fare propri i sentimenti contrapposti del suo personaggio (costretta fra i doveri di moglie e i desideri per il giovane pescatore), così come a stare fra l'iconografia più classica della donna italiana, ma senza apparire per questo figura d'altri tempi. Un personaggio, insomma, capace di fare la storia con la naturalezza dei suoi gesti e della sua presenza, al di là degli schemi imposti dalla sceneggiatura.
Il terzo episodio, Iride, scritto e diretto dal tarantino Francesco Chiatante, è quello che appare stilisticamente più definito e capace perciò di elaborare un immaginario proprio: ci riesce a fronte della storia più breve dell'intero film, concentrata su una sola, semplice, idea, quella di un gioco erotico fra due donne che si risolve in tragedia. A istigare le due interpreti c'è un misterioso figuro mascherato, forse una proiezione della parte oscura del loro stesso amore, che istilla una componente fiabesca e magica in un racconto che cerca volutamente l'astrazione (a fronte delle scene saffiche), fin dall'uso straniante (e un po' troppo impostato) della voce fuori campo. Finale aperto, che lascia qualche margine d'interpretazione allo spettatore e risulta perciò più stimolante.
Infine il segmento con la durata maggiore (circa 35 minuti), Selene, scritto e diretto dal già citato Giuliano Giacomelli, che appare anche quello più ambizioso, per la scelta di rifarsi ai registri della commedia all'italiana, con un cast professionale in cui troviamo Lorenzo Patanè, interprete della soap Tempesta d'amore. E' la storia di una coppia sessualmente insoddisfatta: lui infatti non riesce a consumare il rapporto con la moglie che pure ama, e quindi i due si vedono costretti a sperimentare soluzioni sempre più bizzarre per ravvivare il desiderio. Il casting azzeccatissimo e un buon ritmo, che riesce a gestire con scioltezza gli incastri della vicenda e a esaltare il senso del paradossale che ammanta tutta la storia, permette alla vicenda di risultare briosa e intrigante e a gestire la lunghezza forse un po' eccessiva. A tratti si gioca con le aspettative dello spettatore, in un gioco effettivamente tutto basato sulla capacità di interpretare il ruolo imposto dalla coppia: un degno completamento a un film che spesso corteggia l'idea del mascheramento (il mostro di Daphne, il figuro di Iride) e della messa in discussione dei ruoli codificati dalla coppia (la moglie, l'amante, l'uomo e la donna), come a ricordarci che in fondo l'amore è una enorme scacchiera su cui si muovono varie possibilità.
AMORES – IL TRAILER