"Vaniglia e cioccolato", di Ciro Ippolito

“Vaniglia e cioccolato” è il segno di un cinema che non ha più il coraggio della provocazione e ad una visione che nasce da un testo di base che viene parafrasato in modo sin troppo scolastico, con un senso della messinscena troppo costruito e farraginoso.

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Nel cinema di Ciro Ippolito (Arrapaho, Uccelli d'Italia) è sempre stato presente il segno immediato di uno sguardo che, pur debole e limitato, tentava di trasfigurare una certa atmosfera degli anni Ottanta in una comicità deliberatamente bassa, corporea, fatta forse per esaurirsi nelle griglie chiuse della gag, ma anche in grado di praticare una mescolanza insolita di provenienze. Un cinema piccolo allora, delimitato e stretto da una gratuità che, passata sotto silenzio allora, rivela oggi frammenti interessanti di un modo di fare cinema che stava cambiando. In questo senso allora Vaniglia e cioccolato, tratto da un romanzo di Sveva Casati Mondignani, segna l'approdo del regista ad un cinema che non ha più il coraggio della provocazione e ad una visione che nasce da un testo di base che viene parafrasato in modo sin troppo scolastico, con un senso della messinscena troppo costruito e farraginoso. Se infatti la protagonista (una Cucinotta sempre più ostaggio di se stessa, qui nel ruolo di una donna in crisi a causa dei ripetuti tradimenti del marito) sembra ondeggiare tra l'incertezza del presente e la scoperta del passato, è anche vero che il lavoro di Ippolito sui corpi del racconto non riesce mai a concretizzarsi in una qualche vera aderenza, sommando meccanicamente flashback (quelli relativi all'incontro tra i due protagonisti, ma anche all'infanzia della protagonista e ai suoi parenti più stretti) che tolgono respiro alla narrazione, annaspando in superfici levigate e innocue. Lo sguardo che campeggia allora nel set è quello di un cinema che complica inutilmente le cose, elaborando una tensione scopica troppo elaborata e forzata nel suo procedimento. E' per questo allora che l'intensità dell'opera appare sempre come traccia precisa di un riferimento letterario che toglie programmaticamente vita ai corpi, asciugando in fretta ogni parvenza di vera passione (pure in teoria presente con la scoperta della vecchia relazione sentimentale della protagonista con il pittore spagnolo) e producendo un avvilente annebbiamento emozionale.

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Regia: Ciro Ippolito


Sceneggiatura: Ciro Ippolito, Franco Ferrini dal romanzo di Sveva Casati Modignani


Fotografia: Fabio Cianchetti


Montaggio: Ciro Ippolito


Musica: Maurizio Abeni


Costumi: Alessandro Lai


Interpreti: Maria Grazia Cucinotta (Penelope), Alessandro Preziosi (Andrea), Joaquin Cortes (Carlos), Ernesto Mahieux (prof. Briganti)


Produzione: Ciro Ippolito


Distribuzione: Warner Bros. Italia


Durata: 110'


Origine: Italia, 2003


 


 

 


 

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