VENEZIA 63 – "Quelques jours en septembre", di Santiago Amigorena (Fuori Concorso)

"Quelques jours en septembre" crede poco in se stesso. E questo il suo unico vero errore, la sua serenissima condanna. E per lo sceneggiatore Santiago Amigorena un esordio alla regia in chiaroscuro.

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Santiago Amigorena, sceneggiatore. Da qualche ora: professione regista. Venezia sessantatre lo tiene a battesimo con un esordio sperato da tanto. E finalmente anche lo scrittore di Buenos Aires ce la fa. Ad intenderci: solo a salire sul palco. Perché Quelques jours en septembre" crede poco in se stesso. E questo il suo unico vero errore, la sua serenissima condanna. Spiazzante per la verità, inattesa condanna. Perchè per quasi due ore di film, Amigorena riesce a non cadere. Ma a fatica. Anche cedendo al suo "doppio" retaggio di spy-story e letteraria complicità, aggiunge gusto – pur se non stile – alla visione, all'imbratto retinico escogitato alla bisogna. Non è un caso che il regista "vede" meglio senza occhiali. E scrive meglio. Anche quando, stanco e afflitto dal vezzo "fuorifuoco", si intrattiene con la specie umana, stavolta per fortuna non fatta esclusivamente di parole, di mezze verità. Ma di carne e saliva, piedi che sono piedi nel mare, cuscinate in testa da togliere il fiato. Finalmente inutili. Amigorena sa che alle volte non c'è troppo bisogno di parlare, di sparare. Una grande lezione che solo l'esperienza col cinema poteva insegnargli: che per far sentire una pistola, basta saperla guardare. E qui il gioco riesce, si fa più autentico – scarica e ricarica il tamburo, ma la canna del giocattolo non brucia mai  – e per questo più perverso, più sano, fino alla "resa dei conti", superba, magistrale, fantastica intuizione. Trascuriamo allora le scorie sovrabbondanti dei conflitti culturali, dell'anti e america "nismo" – puerile la dissemina di luoghi comuni nel dialogo-scontro tra i due incestuosi fratellastri, risolta anche stavolta con una prevedibile, faticosissima scopata – e viviamo per scorgere tutto quello che c'è da vedere e non da sapere. Da Parigi a Venezia il viaggio – così tanto agognato – non si fa gustare e si incupisce tra camere d'albergo, un maldestro inopportuno molestatore – pretesto per una contaminazione di generi che stona d'enfasi gratuite, tanto lontane da Gallo e da Cohen – e compassati ambasciatori del male. Ma eccola la vera rivelazione, spesso accorta e misurata ma poi incandescente, straripante, proprio come doveva meritarsi: bocche. Bocche sgranate, schiuse, assorte. Bocche rumorose, Bocche di labbra sgranate, golose, indifferenti, tenere, spietate. Bocche al dentifricio. Qui la luce si posa e c'indugia. Qui Amigorena macroscopizza senza dilatare. Qui il regista di "Quelques jours en septembre" non pensa a scrivere – l'ha già fatto in disparte ma non guasta – ma a sentirsi finalmente corpo cinema. E se anche la bocca fosse suo malgrado segno pretestuoso di parole, bifora intarsiata, non importa. Finché si lascerà guardare racconterà dell'altro. Questa è la vera grande guerra al cinema. E Amigorena l'ha capito. Scorrendo lentamente in moviola, con una lingua che non è più d'inchiostro, ma trasfusioni sonore, agonie en plein air. E che non ha paesi.

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