#Venezia72 – Mata-me por favor, di Anita Rocha da Silveira
Ciò in cui eccelle la regia di Anita Rocha da Silveira è la capacità di portare avanti un discorso così urgente all’interno di una cornice tragica e ironica allo stesso tempo. In Orizzonti

Un bacio dato con gli ultimi respiri, lasciando un marchio di sangue sulle labbra. Non è tanto un gesto d’affetto quanto un sigillo, il riconoscere un destino comune circondato dal silenzio e che trova sfogo solo in questo attimo di intima connessione.
Bia ha quindici anni, e insieme alle sue coetanee è costretta a scoprire l’amore e il sesso insieme alla morte. I numerosi omicidi che colpiscono Barra da Tijuca, uno di quegli enormi, moderni e freddi quartieri di Rio de Janeiro, smentiscono un’ipocrita immagine di sicurezza e modernità. Ciò che inquieta di Mata-me por favor non sono infatti i delitti in sé, quanto la facilità con cui gli adolescenti protagonisti percepiscano come normale e quotidiana una tale violenza, divenuta quasi inscindibile dal resto della loro vita. E ciò in cui eccelle la regia di Anita Rocha da Silveira è la capacità di portare avanti un discorso così urgente all’interno di una cornice tragica e ironica allo stesso tempo, un efficace ritratto di quell’indefinibile periodo di passaggio adolescenziale che qui ancor di più oscilla tra l’età infantile e quella adulta, di volta in volta respinto verso l’una o l’altra sponda, perché ad ogni nuovo amore corrisponde un nuovo cadavere rinvenuto per strada. Ed è ancora una volta sui corpi che si giocano tensione, paura, rabbia e impotenza, corpi che combattono come possono, indifferenti alla morte.
Se i colori accesi e irreali della fotografia creano un’atmosfera iperreale, quasi caricaturale, solo alla vista del sangue, di un rosso così intenso, il reale irrompe con violenza sullo schermo e scuote l’intera struttura del film. Perché Matame è anche, e soprattutto, una sottile dimostrazione di come la violenza nasca dal quotidiano, da certe azioni e atteggiamenti che concorrono a desensibilizzare lentamente, a creare uno strato di silenzio e indifferenza, ovvero la violenza peggiore.
E non sono casuali i numerosi sguardi in macchina delle giovani protagoniste, rivolti senza mezzi termini allo spettatore. Solo uno sguardo che dà voce al silenzio di infinite altre ragazze il cui sguardo è spento per sempre.