#Venezia72 – Vasco Rossi come Wim Wenders: il rock è la salvezza

La rockstar in gran forma arrivato al Lido per presentare Il Decalogo di Vasco. I fans lo attendono da ore. Per lui c’è più ressa che per Johnny Depp. E si fa dei selfie col pubblico

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Arriva Vasco, la Mostra è rock. Stravolge i protocolli, si fa un selfie con il pubblico, facendolo scattare a tutti i giornalisti del red carpet. E poi sta venti minuti a firmare autografi, su quaderni, fogli strappati, quando non c’è niente dove scrivere, anche sulle braccia dei suoi fans. Ho scritto Vasco sulla pelle, dirà un ragazzo, tornando a casa.

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“Il rock è la salvezza, il rock mi salva la vita”, dice ai giornalisti. Curiosamente, è la stessa frase che disse, tanti anni fa, uno dei più famosi registi del mondo, Wim Wenders. Il rock mi ha salvato la vita.

In grande forma, dopo i giorni in cui tutti si domandavano come stesse, per via di quel bacillo cattivo che non se ne voleva andare. In grande forma, e con una grande voglia di abbracciare i suoi fans. Dura venti minuti o forse più, il rito della firma degli autografi. Poco prima, all’imbarcadero dell’Excelsior, dove la sua lancia approda, c’è una bolgia che neanche per Johnny Depp. I giornalisti lo aspettano da ore, si spintonano, al momento buono uno urla “Non c’ho il microfono! Me l’hanno spaccato!”.

“Ai miei fan dico: grazie di esistere”. Aggiunge: “Essere alla Mostra è una meraviglia. Il cinema che mi piace? Quello bello”. E poi urla: “E adesso tutti a ballare!”. Non c’è da strappargli molto di più, negli istanti dell’arrivo. Jeans, cappellino d’ordinanza, camicia scura aperta. Poco dopo, sul red carpet, il cappellino diventa un cappello con la tesa, e il giaccone opaco diventa una giacca di lamé scintillante. Lui, però, è sempre lo stesso. Con quei gesti sempre un po’ oscillanti, incerti, che fanno tenerezza.

Lo aspettavano da ore, sul red carpet. Vengono da Treviso, da Varese, da Mestre, ma anche da Salerno, da Avellino, da Roma. C’è chi ha preso l’aereo, chi non ha trovato niente e ha preso un autobus da Salerno. Ci sono una madre e un figlio, fan tutti e due. C’è chi va ai suoi concerti dal 1997. C’è chi dice: “Quando ho cominciato a sentire la musica di Vasco? Ero nella pancia di mia madre, lei lo ascoltava sempre”.

il decalogo di vascoLa canzone che amano di più? Vivere, senza dubbio. Vince per distacco. Una ragazza voleva tatuarsi una sua frase: “Ma l’amore è così, non è un progetto, non è mai come vuoi tu”. Una ha un record di sessanta concerti ascoltati, lo segue praticamente dappertutto. “Che cosa gli chiederei se lo avessi per mezz’ora con me? Non gli chiederei niente, gli darei un bacio, lo abbraccerei . Mi basterebbe questo”.

Un ragazzo, venuto da Varese, dice: “E’ dal ’96 che non mi perdo un suo concerto. Quando Vasco stava male, io sono andato a Zocca sotto casa sua, quando faceva le apparizioni come il papa”. Perché ti piace Vasco? “Perché è vero, non ha sovrastrutture, dice quello che pensa, e lo dice come lo diremmo tutti. È diretto, è autentico. E non è mai cambiato”.

Intorno a tutto questo delirio, dentro tutto questo delirio, c’è un film. Il decalogo di Vasco, presentato ieri sera nella sezione “Il cinema nel giardino”. A introdurre il film, Vincenzo Mollica. “Sono stato per quindici mesi con Vasco”, dice il regista Fabio Masi, del gruppo di lavoro di Blob, la trasmissione cult di Raitre. Dove vedremo il film, in seconda sera, il 26 settembre.

Il decalogo di Vasco ha l’aria di un quaderno di appunti visivi, un carnet di viaggio insieme a Vasco. Il regista non indaga nella sua storia, non espone foto d’archivio, non filma i concerti. Ci mostra schegge di tempo vissute insieme a Vasco. Il quale racconta, si confessa, parla come con un amico. A un certo punto, su una diga a metà dell’Appennino, Vasco dice: “Volevo arrivare al cuore della gente. Per vent’anni almeno ho fatto solo quello: non esisteva nessuno, neanche mia madre”. Al cuore della gente, anche a vedere da quello che è accaduto ieri, ci è arrivato.

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