FESTIVAL GOEAST DI WIESBADEN. RealAvantGarde – retrospettiva sulla LenFilm (seconda parte)

E oggi? Oggi la LenFilm cade a pezzi, letteralmente. È lasciata a se stessa, con il suo inestimabile archivio, autentica memoria vivente del Novecento. Pare che tutto il complesso sia sul punto di venire svenduto affinché i terreni vengano dati in pasto alla speculazione edilizia. Aleksander Sokurov, Aleksei German e altre voci prestigiose hanno tentato di sensibilizzare le autorità (e cioè Putin), per ora invano. Tanto più importante è allora questa riuscitissima rassegna. QUI LA PRIMA PARTE

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È grazie alla LenFilm (nonché, inseparabilmente, all'abilità di chi ha curato la selezione), strano campo di forze gravitazionali che attira e nutre in sé molteplici spinte eterogenee (è questa, appunto, l'avanzatissima ipotesi storiografica di partenza dei curatori), che venticinque anni dopo Chelovek-Amfibiya troviamo un'analoga utopia fantascientifica (Dni Zatmeniya, I giorni dell'eclisse, 1986) in un cinema completamente diverso: quello ai limiti estremi dell'autorialità (e oltre) di Aleksander Sokurov. Ma questo è già un altro mondo, quello della Perestrojka ed oltre: anni in cui la Lenfilm diversifica, si apre al cinema sperimentale, e patrocina non solo il bizzarro "necro-realismo" di un Yevgeniy Yufit, ma anche i bellissimi ri-utilizzi di materiale di repertorio da parte di Irina Evteeva e Oleg Kovalov. Per la prima (Loshad, skripka i nemnogo nervno, Il cavallo, il violino e un po' di nervosità, 1991) essi sono la traccia delle oscurità dalle storia da cui partire per una fuga perennemente frustrata, fatta dell'inventiva plastico-pittorica che ha reso immortale l'animazione russa, fuga che finisce sempre per ritrovare quelle oscurità davanti a sé. Il secondo (Sady Skorpiona, Il giardino dello scorpione, 1991) è una geniale esplorazione dell'inconscio collettivo sovietico attraverso decenni di cinema nazionale (ma sono tre-quattro i titoli vistosamente privilegiati): un "poema ottico" (dichiarò Kovalov) che scava nei meandri della jouissance proliferante a lato dell'ideologia, godimento sotterraneo ed alcolico (l'alcool la fa da padrone in queste schegge di celluloide, insieme al disciplinamento della pazzia e al cortocircuito tra l'amore e la guerra), che segretamente, l'ideologia, la nutre, e traspira dai volti, dai gesti, dalle espressioni cutaneo/filmiche che Kovalov è stato capace di dissezionare e riproporre. Al punto che quando l'URSS si apre all'occidente (altra fase documentata dalle immagini), la società dello spettacolo dell'Ovest non appare una novità, ma qualcosa che là si conosceva da sempre a menadito.

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Cinema sperimentale a parte, tuttavia, è necessario insistere: la RealAvantGarde della LenFilm non aveva bisogno dell'avanguardia per praticarla, l'avanguardia. La praticava per esempio attraverso l'arditezza dei suoi adattamenti letterari, come lo straordinario Goroda i gody (Città ed anni, 1930, Evgeniy Chervyakov), odissea tortuosamente romanzesca di un individuo (un pittore) travolto dalla Storia (e cioè dalla rivoluzione del 1917) che si fa carico di un'infinità di sottigliezze espressive, specie grazie a un'illuminazione sottilmente sovversiva e a un uso "intensivo" dei primi piani lontanissimo dalla "scienza" sovietica del primo piano degli anni Venti, ma di allucinante, statuaria efficacia lirica. L'adattamento letterario era in effetti una specialità della LenFilm, una specie di marchio di fabbrica: è rimasto nella leggenda il talvolta bizzarro, ma quadratissimo ciclo di racconti di Sherlock Holmes girati nei primi anni Ottanta da Igor Maslennikov, televisione come ormai ci è dato solo sognare: aderenza strettissima agli snodi del racconto fregandosene delle esigenze drammaturgiche ma lasciandoli dipanare in modo imperturbabile e compassato, una full immersion nei meandri della detection condotta con polso registico d'altri tempi, tanto solido quanto poco esibito, tanto preciso quanto fluviale e tranquillo. Letterarissimo, anche se tecnicamente non "un adattamernto", Monolog (1972) del grande Ilya Averbakh (l'altro gigante semi-dimenticato, con Ermler, della rassegna), stupendo ritratto della vita di un anziano scienziato che è già "arrivato" professionalmente eppure non finisce mai di arrivare, in un tempo che non sembra scorrere mai eppure viene divorato senza che ce ne accorgiamo da ellissi di anni ed anni. Accanto a lui, figlia e nipote vedono sfogliarsi le rispettive età dal tempo, il quale però sembra persino scambiare di posto l'una e l'altra come se nulla cambi: molta dell'accattivante, strana atmosfera temporalissima eppure fuori dal tempo azzeccata da Averbakh sta nel suo intimismo ricco di dialoghi e ben deciso a sfiorare soltanto un brandello di superficie dopo l'altro.

E oggi? Oggi la LenFilm cade a pezzi, letteralmente. È lasciata a se stessa, senza che nessuno di quei pochi che possono farlo muovano un dito per salvare tanto le sue gloriose strutture quanto il suo inestimabile archivio, autentica memoria vivente del Novecento. Pare che tutto il complesso sia sul punto di venire svenduto affinché i terreni vengano dati in pasto alla speculazione edilizia. Aleksander Sokurov, Aleksei German e altre voci prestigiose hanno tentato di sensibilizzare le autorità (e cioè Putin), per ora invano. Tanto più importante è allora questa riuscitissima rassegna, preziosa da un punto di vista inseparabilmente storico e storiografico, efficacissima nel ricordarci, attraverso il ricco patrimonio della LenFilm, che le regole e le eccezioni della Storia (anche quella del cinema) mulinano a velocità fortissima scambiandosi continuamente di posto, e dobbiamo reimparare a percepire quella velocità.

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