21 Savage e l’American Dream del confine

Sogni di confine e dispersione del centro. Il nuovo progetto del rapper londinese, album più film interpretato da Childish Gambino, attesta il nuovo mito dell’outsider postmoderno.

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“My dreams always gone beyond the crossing of a pond

 

As a mother, every path I walked was for my son
Challenges were a part of the journey
And what I wanted was an afterthought…”

Un tempo dovevi diventare ricco. O, almeno, morivi provandoci. Oggi sembra che si stia tornando ad un lucidissimo quanto plastico sogno di confini. Quanto l’American Dream possa essere rivelante nel contemporaneo è un dubbio di alta caratura. Quanto di quel melenso e reazionario moto sia rimasto in superficie è difficile valutarlo. Il centro non conserva in alcun modo il fascino della rivalsa per l’outsider di frontiera. Il Blocco col tempo si è spostato, invadendo spazi dapprima impensabili per la conservazione epidermica del consumo. Ma essendo una grande macchina senza coscienza, la pressione è stata tale da disseminare la narrativa del sogno oltre il proprio confine originario. Usando un termine in voga negli States, spasmodicamente si scavalcano le alte mura, comportando l’annullamento e il conseguente reset del concetto di opportunità ad oggi non identificabili. Si moriva provando a diventare ricco. Nove colpi di pistola. Tredici giorni di ospedale. Get Rich or Die Tryn’. Per 50 Cent non c’era altra via. E il rapper ex membro dei G-Unit è stato senza ombra di dubbio il simbolo di questo (in)controllo. Il picco estremo del sogno americano, almeno nell’industria musicale. Un vero e proprio caso di esplosione senza precedenti che ha sconvolto un intero immaginario di ricorsi e legittimazione metropolitana. Il rapper newyorkese, sotto lo sguardo di Eminem e Dre, dimostrava con consapevolezza il punto di non ritorno. Tanto da divenire un corpo cruciale per raccontare la direzione percettiva di questo mito agli sgoccioli delle proprie risorse. Il sogno si è esaurito. Tutto si è dissolto. La mappa è indecifrabile. E Jim Sheridan, quasi in una illuminazione herzoghiana, comprese il potenziale di questa entità centrale per la disseminazione. Di raccontare non più una scalata ma unicamente spiragli. Spiragli di morte. Di morte ideologica. Per cosa si sogna? Anche lo stesso 50 Cent non lo sapeva. Agiva di spinta. Era la dissoluzione a farlo muovere tra le macerie. Ricchi si può diventare se sai arrivare prima degli altri a ciò che rimane della fonte del sogno ed accettare che sia divenuto un angosciante REM.

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E il prossimo ed inaspettato progetto filmico di 21 Savage, american dream: the 21 savage story, sembra voler ripercorrere l’ombra di questo mito. Divenirne uno strambo sequel spirituale. Un mito non più fondativo, bensì di confinamento. Come l’ultimo dei Dandy, 21 Savage è riuscito negli anni a ritagliarsi uno spazio non ininfluente nella scena americana, anticipando quasi di un decennio lo stretto contatto con il sound UK e, in generale, con quello europeo. Ma la particolarità del rapper londinese è sempre stata quella di gravitare nel limite. Quasi a disprezzare il richiamo centripeto, formando una delle figure più vicine al prototipo perfetto di outsider postmoderno. Un occhio vigile nel macrocosmo ma volutamente ritagliato al di fuori delle dinamiche che lo compongono. Difatti 21 Savage è ancora oggi un personaggio da inquadrare, da dissezionare. Lo si può ragionare come una piccola alterazione all’interno di un sistema di ferrei simboli. Ma in parte anche no. Le storiche collaborazioni con Drake, sfociate due anni fa con Her Loss, e le continue chiamate dei grandi della scena attestano ancor di più la tentazione di considerarlo mediaticamente alla pari dei suoi colleghi. Ma il progetto stratificato di American Dream, iniziato in questi giorni con l’omonimo album, ci porta proprio a questo. A ragionare su come oggi più che mai la storia del sogno e la sua realizzazione non riguardino più la massima concentrazione collettiva, ma unicamente una piccola oasi posta al confine della mappa. Non è un caso che non si sia ricorso alla formula Get Rich or Die Tryn’ per 21. A conferma del voler rimanere fuori dal percorso. Nel voler astrarre la propria forma e consegnarla nelle mani di altri. Forse nel volersi far suggestionare dall’infinita pratica della moltiplicazione corporale. Di creare dei veri e propri Doppelganger per rimanere ad osservare la realtà che ci spaventa. E il profilo di Childish Gambino molto probabilmente è il punto nevralgico della situazione. Uno dei pochi artisti in grado di navigare fino alle profonde radici della questione dell’ossessione mnemonica. Sciame ne è solo una piccola particella, ma l’osservare Glover nelle fattezze del rapper londinese in un trailer sporadicamente senza forma come quello rilasciato un paio di giorni fa, funge da prologo ad un progetto d’attestazione per una scena alternativa, insita al centro di un sogno adombrato dall’incapacità di condividerlo al di fuori del nostro malinconico sepolcro.

 

 

 

 

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