A Traveler’s Needs, di Hong Sang-soo

Nuovo “esercizio in rima” per il cineasta, e nuova apparizione magica di Isabelle Huppert, tra variazioni di linguaggio che esplicitano le verità. Dire quasi la stessa cosa? BERLINALE74. Concorso

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Grazie al prezioso lavoro della pagina Open Minds gli appassionati italiani di comicità USA hanno potuto scoprire gli incredibili sketch della rubrica Joke Swap del Saturday Night Live, durante la quale due degli assi di questa generazione come Michael Che e Colin Jost si scrivono l’un l’altro le battute, ma a nessuno dei due è permesso conoscerle prima che le leggano in diretta durante lo show: ovviamente, Che e Jost fanno di tutto per mettere in imbarazzo il collega che dovrà recitare una joke che scopre al momento davanti al pubblico, e ben presto lo scherzo si è impostato su Jost costretto a pronunciare i peggiori cliché razzisti da bianco caucasico, e Che che incarna tutti gli stereotipi dell’afroamericano.
È un po’ la modalità con cui Hong Sang-soo imbastisce il suo ultimo “esercizio in rima”, A Traveler’s Needs, che vede ancora una volta Isabelle Huppert abitare le immagini del cineasta sudcoreano come una sorta di incantesimo, di creatura incantatrice apparsa da un’altra dimensione: per tutto il film Iris, il suo personaggio, scriverà su dei cartoncini delle battute in francese per le persone di cui si fa raccontare la storia, i sentimenti, le memorie.

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Si tratta della maniera con cui la donna insegna la sua lingua ai coreani, esplicitando in queste frasi da far memorizzare quello che le sue allieve le hanno confessato, ma per il resto del tempo tra di loro si parla in inglese: “a volte riusciamo meglio ad esprimere quello che sentiamo dicendolo in un’altra lingua”, afferma ad un certo punto.
E che il film (in questo, vicino ed opposto ad uno dei capolavori del regista, Night and Day) sia un’opera sulla traduzione impossibile dei linguaggi (dire quasi la stessa cosa…) è evidente anche dalle situazioni ricorrenti in cui i personaggi si metteranno a suonare uno strumento, o da quelle – simmetriche, come spesso accade in Hong – in cui leggeranno una poesia scritta su di un muro o di una pietra monumentale. La forma poetica è il riferimento più diretto della struttura del film, in cui come versi o strofe che si intrecciano tra di loro, e come sappiamo succedere abitualmente nelle opere del cineasta, ci sembra di assistere tre volte al ripetersi dello stesso meccanismo, con variazioni che diventano centrali nell’episodio finale, quello in cui a fare le domande non è più Iris ma la madre del ragazzo che la ospita: da dove viene questa donna? Cosa ci fa in Corea?

Ancora una volta, nel cinema di Hong Sang-soo non è chiaro quando si sogni ad occhi aperti o si hanno le traveggole, e quanto queste infinite sospensioni siano una pausa dalla “vita vera” e quanto invece ne rappresentino la verità più profonda, senza svelarla mai del tutto. Alle lingue parlate dagli esseri umani si uniscono così i segnali degli animali, cani e gatti già in altre occasioni inquadrati con tenerezza dal regista, e quelli della natura, in alcune straordinarie “distrazioni” (simili a quelle di Iris che puntualmente si allontana quando le sue allieve iniziano a suonare il pianoforte o la chitarra) che la mdp si prende durante i soliti fluviali dialoghi dei film del cineasta (stavolta innaffiati da litri di Makgeolli, il vino di riso coreano), andando a zoomare sulle chiome degli alberi, sul cielo, sui rivoli dei torrenti. D’altra parte, Iris compare per la prima volta nella vita del ragazzo proprio in un parco, suonando il flauto, come un incrocio magico tra una ninfa ed un fauno…

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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