Across, di Irene Dorigotti

Più che un lavoro “compiuto”, un’opera di crisi, fatta di domande più che di risposte. Un percorso che risponde a un’urgenza tutta interiore. A VENEZIA 80, Giornate degli Autori – Notti veneziana

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Ci sono dei film che non possono essere separati dal dato biografico, che portano i segni di un vissuto personale. È una cosa che amiamo, ma che capita abbastanza di frequente, specialmente nel caso di esordi. Ci sono, d’altro canto, film che sono di per sé un’esperienza, che evolvono e maturano nel tempo, mostrando tutti i nodi cruciali della loro lavorazione, le incertezze e i dubbi più o meno risolti, le stratificazioni, le curvature improvvise, i cortocircuiti. Cioè le tracce del cambiamento di chi li fa. Si tratta perciò di campi aperti di forze che corrono in maniera incontrollata, che procedono l’una accanto all’altra, prima di arrivare a scontrarsi e, magari, a comporsi. E per noi spettatori non c’è verso di seguire un discorso consequenziale, le linee rette di un ragionamento serrato. Siamo chiamati a ripercorrere il cammino.

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Across è proprio un film di questo tipo. Irene Dorigotti, al suo primo lungometraggio, mette in gioco tutta sé stessa, le sue origini e le sue esperienze. Il dato privato della famiglia e la linea di sangue del carattere, il profilo della sua terra, le montagne e le valli intorno a Isera, in provincia di Trento, la vocazione ereditata del viaggio. E poi, fondamentale, il lungo addestramento come scout, gli studi di antropologia. Fino, ovviamente, al lavoro sulle immagini, quel percorso di sperimentazione personale nella fotografia e nel montaggio, iniziato da alcuni anni con una serie di cortometraggi, come Apnea, Ora sono diventata foresta, Herz-Jesu-Feuer, La Grand Reve. Il punto di partenza del film è la domanda sul senso del sacro, che dà il via a tutta una serie di peregrinazioni intorno al mondo: dalla Sacra Sindone di Torino al Vietnam e ai templi di Angkor Vat in Cambogia, dal Messico fino al deserto “incontrato” in una spiaggia della Sardegna. Su questo movimento continuo, si innestano tutta una serie di pratiche e di forme: immagini di archivio, familiari e non, momenti performativi (il corpo avvolto nel sudario, i battitori della croce), il filo rosso della voce narrante, scritta insieme al produttore Carlo Shalom Hintermann e interpretata da Fabio Bussotti, la presenza guida di Riccardo Annoni nei panni del nonno Dorigotti.

Dunque, una trama intricata di traiettorie, che aprono il film al caos di una molteplicità di direzioni. Ed è questo l’aspetto più interessante. Più che un lavoro “compiuto”, un testo chiuso e definito, Across è già un’opera di crisi. Cioè un film di domande e non di risposte. “Volevo capire dove sto sbagliando, perché da qualche parte ci deve essere qualcosa che non va”, dice, infatti, Irene Dorigotti al prete a cui sta raccontando il suo disagio. A confessare un senso di disorientamento, ma anche la volontà di arrivare comunque a una comprensione. Non è un caso, allora, che si tratti di un film dalla lunghissima gestazione. Otto anni di lavorazione, in mezzo ai quali c’è anche la vittoria del Premio Solinas nel 2017. Un infinito accumulo di materiali, di suggestioni, ma anche, inevitabilmente, i segni tormentati di una complessità indistricabile. In questo senso, Across sembra davvero guardare alle modalità intrepide del cinema di Giovanni Cioni, a quell’idea per cui ogni film è un viaggio che reca con sé il rischio dello smarrimento, ma al tempo stesso testimonia sempre la realtà del suo farsi, la pratica concreta che dà sangue e forma alle immagini. Ma è anche un percorso che risponde all’urgenza di una ricerca tutta interiore, personale. Ed è per questo che il vero fulcro, intorno a cui tutto ruota, è proprio la presenza di Irene Dorigotti. Che cerca di imprimersi sulla superficie delle immagini, come una sindone. Che cammina e corre, attraversando liberamente l’inquadratura. Che guarda in macchina in cerca di un contatto o di una conferma. Che si denuda, per immergersi nell’acqua di una piscina o del mare. Come a sperare nella purificazione e nella chiarificazione di un nuovo battesimo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
2.8 (5 voti)
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