Aloners, di Hong Sung-eun
Il film di debutto della regista coreana è uno studio sottile della solitudine desiderata (o forzata?) di Jina, una giovane ragazza che lavora in un call-center. In concorso.
Aloners, un film sulla solitudine sin dal titolo. Il primo lungometraggio di Hong Sung-eun è un film distaccato, lontano dallo spettatore, esattamente come la sua protagonista vorrebbe tenersi lontano degli altri. Jina (Gong Seung-yeon) è infatti una giovane donna che lavora nel call-center di una compagnia di carte di credito e che ama stare da sola. Evita qualsiasi tipo di compagnia o di contatto. L’unico rapporto quotidiano con gli altri è proprio quello con i clienti, che vivono però soltanto dentro le sue cuffie e quindi in un certo modo non la toccano, la sfiorano soltanto. E Jina è proprio brava nel suo lavoro. Talmente brava che il suo capo le affida il ruolo di tutor della nuova stagista, Sujin (Jeong Da-eun), ruolo che ovviamente Jina cerca di evitare in tutti i modi, proprio per evitare un rapporto diretto con quella che tra l’altro si rivelerà una giovane ragazza goffa e piuttosto invadente. Sarà però proprio lei quella in grado di entrare in empatia con uno dei clienti più strani della compagnia, un uomo malato di mente che si ostina a chiamare sostenendo di aver costruito una macchina del tempo in grado di portarlo indietro nel tempo e, più precisamente, nel 2002. “Perché proprio nel 2002?” chiede Suijin. “Per il Campionato mondiale di calcio del 2002 che si è tenuto in Corea del Sud e Giappone“, perché lì la gente si abbracciava a vicenda, si divertiva, si godeva l’essere parte di un gruppo. Questa riflessione su come “un tempo si stava meglio” esce fuori proprio in un momento storico in cui non è nemmeno necessario citarlo, ma parlando di gruppi a tutti viene in mente un monito: “distanziamento sociale”.
Come in un quadro di Edward Hopper, in Aloners la giovane regista coreana crea dei piccoli scorci urbani, dove a regnare è la staticità e anche un certo senso di inadeguatezza. Jina si sente inadeguata nel momento in cui deve uscire dal suo guscio, preferisce mettere una videocamera per controllare suo padre (per poterlo così osservare in solitudine tramite il suo telefonino) al parlarci direttamente. Dopo l’incontro scontro con Suijin e due morti nella sua vita, quella di sua madre e quella del suo vicino di casa, morto schiacciato da una pila di materiali porno che aveva collezionato in casa sua (altro grande Aloner, la cui morte, oltre a sortire un’inevitabile effetto comico, dovrebbe essere di monito a Jina), la giovane inizierà delle riflessioni su questa sua solitudine. Quanto in realtà questo suo sentirsi a suo agio da sola è dovuto soltanto ad una sua inclinazione caratteriale e quanto invece (come sottolinea il meraviglioso personaggio del “matto” che cerca di tornare indietro nel tempo) è la società attorno a lei a portarla a questa condizione?