Animali Selvatici (R.M.N.): incontro con Cristian Mungiu

Il regista rumeno ha presenziato a Roma per raccontare il suo ultimo film, in Concorso a Cannes nel 2022 e in sala dal prossimo 6 luglio

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Cristian Mungiu (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni; Un padre, una figlia) è a Roma per presentare Animali Selvatici (R.M.N.), ultimo film del cineasta rumeno, presentato in Concorso al Festival di Cannes 2022 e in uscita nelle sale italiane il prossimo 6 luglio. Lo abbiamo incontrato.

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Il film racconta una storia molto complessa; si parla di amore, società, chiesa. Da dove nasce?
La storia in realtà parte da qualcosa che si è realmente verificato. L’idea nasce da un evento avvenuto nel 2020, poco prima della pandemia, in un grande villaggio della regione della Transilvania, abitata soprattutto da ungheresi. Come si vede nel film la fabbrica che produceva il pane locale era a corto di manodopera. Sono arrivati questi lavoratori dallo Sri Lanka, c’è stata una grande riunione nel municipio, qualcuno l’ha registrata ed è finita su internet provocando un grande scandalo prima in Romania e poi nel resto del mondo. Quello che è strano è che normalmente ci si aspetterebbe che una comunità abitata da una minoranza di un alto paese provi maggiore empatia verso minoranze ancora più piccole, soprattutto in un paese come il nostro in cui spesso ci si sposta per trovare un lavoro migliore; invece è accaduto esattamente il contrario.
Quello che io cerco nelle storie è la possibilità di raccontare a livello globale di noi, esseri umani, come siamo e il motivo per cui agiamo; mostrare le grandi differenze tra ciò che diciamo e ciò che realmente pensiamo.
Che tipo di eco ha avuto in Romania il fatto che ha ispirato il film?
Inizialmente non è stata data grande importanza all’evento a livello locale. Poi è intervenuta la stampa e a quel punto il governo ha deciso di reagire; ma era un problema di tipo sociale ed etico, non legale. Il governo allora ha insistito affinché questi lavoratori continuassero a lavorare e questo è avvenuto.
Ciò che il governo ha cercato di combattere non è però una discriminazione nei confronti di queste persone in quanto asiatici, ma un tipo di discriminazione più profonda ovvero quella nei confronti dei Rom. Se i lavoratori fossero stati finlandesi non ci sarebbero stati problemi, ma dal momento che erano cingalesi avevano un colore di pelle molto più simile a quello della popolazione Rom.
Inoltre è importante sottolineare un’altra cosa. Io sono andato a documentarmi di persona e ho parlato sia con la proprietaria della fabbrica che con i lavoratori. La comunità non era aperta al cambiamento perché voleva continuare a seguire le proprie tradizioni e consuetudini e temeva l’arrivo di altre persone. In queste piccole comunità è difficile capire cosa sia quel grande organismo diffuso che è l’Unione Europea.
Molte sono le allegorie all’interno del film, le possibili interpretazioni. Lei può sciogliere alcuni dubbi? 
Noi vediamo fin troppi film americani e ci siamo abituati a credere che tutto debba essere chiaro e tutto debba avere una risposta. Ma nella realtà non è così. Prima di esalare l’ultimo respiro non abbiamo ogni risposta, così come tutto non appare chiaro alla fine di una giornata.
Quando cerchi di realizzare un film astratto su valori astratti, dall’ansia alla paura, al sentimento, diventa molto più complesso. Non puoi firmare l’astratto. Anche perché è qualcosa che non può essere comunicato attraverso il linguaggio verbale; sono sensazioni, connessioni che lo spettatore deve in un certo senso decostruire e poi cercare di capire da sè.
Dal momento che nel film si racconta di comunità che difendono in maniera quasi cieca la propria identità e che dunque sono destinate a soccombere, ha avuto la sensazione di girare una storia di fantasmi? 
Io in realtà non sono molto sicuro di chi sparirà o soccomberà prima tra i conservatori e i progressisti, né voglio necessariamente comunicare che una parte abbia ragione e un’altra abbia torto. Credo che ci sia di mezzo qualcosa di molto più complesso.
In realtà io ho cercato di ricostruire questo villaggio un po’ come una sorta di villaggio fantasma appunto, perché era importante che raccontasse quello che è il nostro subconscio. Ecco perché questo villaggio è circondato da una foresta scura; perché c’è anche una parte ferina del nostro cervello in cui siamo animali, ed è un qualcosa che tende a soffocare la nostra empatia.
Di questo dobbiamo prendere coscienza e consapevolezza; spesso pensiamo che il male sia intorno a noi, ma spesso è al nostro intorno. Dobbiamo prendere quindi coscienza di questo lato animale e tentare di addomesticarlo.
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