Assassin’s Creed, di Justin Kurzel
Nel momento dell’adattamento la scelta di affidare Assassin’s Creed al trio Kurzel-Fassbender-Cotillard ha rivelato, in tutta la sua audacia produttiva, anche tutti i propri limiti.
Bisognerebbe chiedere al povero Mike Newell quanto sia difficile trasformare una saga videoludica dall’enorme successo (e dalle caratteristiche ben definitive e riconoscibili) in puro cinema d’intrattenimento. Nonostante i vari passi falsi fatti dagli studios con i tentativi di adattare videogames, il suo dimenticabile Prince of Persia rimane l’esempio più chiaro della complessità del passaggio dalla console al grande schermo. La nefasta storia del genere, però non ha impedito l’inevitabile, consegnando anche Assassin’s Creed all’esito cinematografico cui era destinato. Dal 2007, anno di pubblicazione del primo episodio, il gioco prodotto dall’Ubisoft ha riscosso enormi successi. Il game non solo ha creato una solida appassionata fanbase, ma si è soprattutto mosso con intelligenza tra le esigenze ludiche del giocatore e il fascino di ambientazioni narrative che sfondavano i confini del tempo, senza alcuna necessità logica. Il concept della saga vede l’inerme criminale Cal Lynch rivivere le avventure dei suoi antenati, tutti fedeli seguaci del Credo dell’Assassino, in una soluzione narrativa che ricorda, piacevolmente, quella dei migliori albi dei fumetti Disney. Come succede spesso nelle storie di Topolino, gli avi di Lynch si ritrovano in momenti chiave della Storia, eroiche comparse vicine ai protagonisti reali (da Riccardo Cuor di Leone a George Washington, passando per Leonardo Da Vinci). Oltre a questa incredibile libertà, al successo del format ha contribuito un’esperienza ludica che è presto diventata il marchio del prodotto.
Nel momento dell’adattamento live-action, la scelta di affidare un blockbuster dalle potenzialità commerciali immense al trio Justin Kurzel-Michael Fassbender-Marion Cotillard ha rivelato, in tutta la sua audacia produttiva, anche tutti i propri limiti. Reduci dall’esperienza del Macbeth (che già aveva in sé i segni per sembrare un Assassin’s Creed – versione Medioevo scozzese) il regista e i due interpreti si approcciano al nuovo progetto con una seriosità esagerata. Un tono supponente che esplode di fronte ad una struttura esasperata, “nobilitata” da riferimenti pop-cospirazionisti tanto cari a molti spettatori (società segrete che dominano il mondo, templari redivivi nemici del libero arbitrio) e da un impianto storiografico di una superficialità stremante (da questo punto di vista i videogames dimostravano ben altra ricerca accademica). Al di là della trama e dei personaggi, a stonare, però, è la scelta di Kurzel , convinto di concentrare il suo film totalmente sulle vicende “contemporanee” del suo protagonista. Chiunque abbia giocato al game sa che il senso del prodotto Assassin’s Creed è rintracciabile esclusivamente nelle avventure del passato, dove la storia si sviluppa. Nella versione del regista australiano, invece, i “flashback” sono solo affascinanti e ricche esposizioni di coreografie e combattimenti, necessarie solo come tributi all’originale (molte mosse e acrobazie sono identiche). Depotenziando questo lato avventuroso, quello che rimane del film è solo una piatta fantascienza distopica, dove Fassbender e Cotillard, chiaramente poco convinti, si muovono in modo meccanico. Come a voler sottolineare il fastidio di chi accetta un progetto, ambizioso e affascinante, solo per ribadire una propria visione miope e presuntuosamente autoriale dell’intrattenimento.
Titolo originale: id.
Regia: Justin Kurzel
Interpreti: Michael Fassbender, Marion Cotillard, Jeremy Irons, Brendan Gleeson, Ariane Labed, Brian Gleeson, Michael Kenneth Williams
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 115′
Origine: Usa, 2016