Attack on Titan – Capitolo finale, di Yūichirō Hayashi

Rispetto ai precedenti episodi appare più quadrato e coeso, sia nelle animazioni che nelle riflessioni. E ritrova finalmente quella vocazione antimilitarista che l’ha reso così radicale. Crunchyroll

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Per raccontare il finale di Attack on Titan, fino a comprenderne tutte le logiche di fondo, si potrebbe – o meglio, si dovrebbe – partire dalle sue origini. Perché l’immagine su cui Hajime Isayama apre la sua epopea manga non solo riflette specularmente le tavole che chiudono l’opera, ma contiene in sé il nucleo (tematico, narrativo, iconografico) da cui si genera l’intera narrazione. A pensarci bene, l’albero sotto il quale vediamo Eren e Mikasa interagire per la prima volta, e formare un legame che va oltre lo spazio e il tempo in cui sono confinati, è il sintomo di un racconto che guarda al passato per poter pensare il (suo) futuro: la sintesi di un percorso, che sin dalle sue primissime battute, ha ben visibile la destinazione verso cui dovrà volgere. Al punto che le lacrime che scorrono sul viso di Eren nell’episodio pilota dell’anime non sono nient’altro che il riflesso di quei traumi che tormenteranno nel finale la sua amata Mikasa. Costretta com’è a metabolizzare un dolore collettivo (ma soprattutto personale) nel pieno di una realtà che sta ancora facendo i conti con le atrocità di un genocidio.

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La parte terza della stagione conclusiva di Attack on Titan ha perciò il sapore di un cerchio che si chiude. E non solo, come logico che sia, perché porta a termine una mitologia che strega ormai platee di appassionati da più di dieci anni. Da questa prospettiva, la sensazione di chiusura che attraversa l’intero episodio finale è da ricondurre infatti all’ostinazione del suo autore per il foreshadowing: all’abilità cioè di prefigurare risoluzioni ad intrecci ancor lontani dalla loro naturale conclusione, per poi soddisfare le attese del pubblico con un esplosione improvvisa – e sempre coerente – di risposte e cesure narrative. Un processo che nel manga, data la continuità della serializzazione cartacea, appare certamente più organico e fluido. Ma che nella versione animata si scontra con le logiche di una pubblicazione eccessivamente frammentata. Ad un punto tale che l’anime rischia più volte di sacrificare l’investimento emotivo dei suoi spettatori, soprattutto di quelli meno “fidelizzati”, sull’altare della coerenza narrativa.

Ma quel che perde in trazione emozionale, lo guadagna in coesione. Tanto che questo capitolo finale prende le mosse proprio da dove l’episodio precedente, cioè la parte prima del terzo ciclo di episodi conclusivo di Attack on Titan, si era interrotto. Il racconto per l’appunto inizia in medias res: Eren ha appena attivato il “boato della terra” che sta portando una miriade di giganti colossali a sterminare buona parte dell’umanità, mentre i suoi (ex?) amici/colleghi capitanati da Armin e Mikasa cercano di fermare il piano di sterminazione partorito da quello che credevano essere il loro compagno fraterno. La missione è naturalmente suicida, ma la forza di un legame nato sotto le atmosfere repressive della guerra, e di cui Isayama stesso ci ha raccontato a lungo l’indissolubilità, non può che sfociare in una disperata fantasia di salvazione: per loro stessi, per il mondo in cui vivono, e per la natura di un sentimento che trascende confini o mere questioni socio-politiche, in vista di un utopico sogno di rinascita. Personale e collettiva.

Ed è proprio ad un’idea di utopia che si rivolgono tutti temi e le intenzioni comunicative che attraversano la conclusione di Attack on Titan. Anzi, potremmo anche ampliare il discorso, ed estendere tale riflessione all’intera opera di Isayama. Perché il dissidio di eroe/antieroe vissuto qui da Eren, il duplice ruolo di despota e di profeta di un futuro antimilitarista che il ragazzo deve interpretare malgrado lo trovi tragicamente insostenibile, non è che il culmine di quel percorso di liberazione dalla Storia e dalle sue aberrazioni infernali su cui l’autore ha costruito tutte le premesse del racconto. Ecco allora che i due filoni dell’episodio, cioè quello di distruzione/rifondazione di Eren e di riconnessione/liberazione di Armin e Mikasa, si fanno portavoce del messaggio che da sempre il mangaka sembra voler comunicare con il suo lavoro, e a cui lega il suo personale pensiero su ciò che ci rende davvero umani: ovvero il libero arbitrio. In questo senso, il dono che Eren lascia in eredità ai posteri non è tanto l’estinzione dei giganti – e quindi la cancellazione del principale agente di morte sul pianeta. Al contrario. È la possibilità, donata agli uomini, di pensarsi migliori di quel che si è stati. E di ragionare così su un futuro che sia finalmente libero dagli assunti che hanno gettato il mondo nelle spire diaboliche della guerra.

Rispetto ai precedenti capitoli, questo epilogo appare decisamente più quadrato e coeso nei ragionamenti che propone. E anche dal punto di vista estetico, grazie al ritorno agli storyboard di Arifumi Imai, Attack on Titan si smarca dalle animazioni disorganiche a cui ci aveva (in parte) abituato nel passaggio di consegne dallo Wit Studio alla Mappa. Il problema di fondo però rimane, e lo ritroviamo in una scelta distributiva che frantuma la stagione finale in microsegmenti non-conclusivi, che dilatano l’attesa – e la narrazione – ben oltre il necessario. Ma almeno questa volta c’è stata la lucidità di legare tutto al cuore allegorico del racconto. Solo così può infatti emergere la reale natura apocalittica dell’anime, abituato ad usare i topoi bellici per indagare, poeticamente, le conseguenze (dis)umane delle scelte individuali. Che possono struggerci per le ferite che generano, oppure scaldarci. Proprio come la sciarpa che nel finale Mikasa si stringe forte al collo, mentre si allontana, tra le lacrime, dalla tomba del suo (indimenticato) eroe.

Titolo originale: Shingeki no Kyojin: The Final Season – Kanketsu-hen Kōhen
Regia: Yūichirō Hayashi
Voci: Yūki Kaji, Yui Ishikawa, Marina Inoue, Hiroshi Kamiya, Ayane Sakura, Yoshimasa Hosoya, Kishō Taniyama, Yū Shimamura, Romi Park, Hiro Shimono
Distribuzione: Crunchyroll
Durata: 1 episodio da 84′
Origine: Giappone, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
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