BERLINALE 56 – Solo (vane) promesse…: "Wu ji" (The Promise), di Chen Kaige

Fuori Concorso a Berlino l'ultimo film di Chen Kaige: la più imponente produzione mai realizzata in Cina. Tra giuramenti, fedeltà e tradimenti, amori e l'arte della guerra, la promessa del grande cinema di effetti speciali si scioglie e si perde alla ricerca spasmodica di forme e figure, luce e materia.

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Chen Kaige è un grande regista, basta ricordare i suoi precedenti lavori: Addio mia concubina, Le Tentazioni della luna, ma anche un film come Killing Me Soflty, thriller atipico certamente non apprezzato come avrebbe meritato. The Promise è un sontuoso kolossal, la più imponente produzione cinese di sempre, carica di effetti speciali, tra giuramenti, fedeltà e tradimenti, amori e l'arte della guerra, che si perde però alla ricerca spasmodica di forme e figure, luce e materia. Quella lenta e a volte anche estetizzante costruzione di una fenomenologia dello sguardo sembra smarrirsi e mai prendere forma in figure, linee e curve del campo visivo. È un mondo chiuso, senza respiro, deposto mai a scavare e a perdersi nel fondo dell'immagine, che inghiotte i contrasti, oscura i contatti. Corpi perduti nel deserto degli effetti, mai partecipi della favola, "fuori" dalla sapiente arte del mostrare senza spiegare. Ciò che resta davanti agli occhi sono ombre cinesi che non si animano e si scontrano confondendosi. Una grande produzione, applaudito alla Berlinale, che palesemente segue l'arte dello "sfondamento", coinvolgendo nel progetto gli Stati Uniti e Hong Kong, e soprattutto attori di grande richiamo come il coreano Jang Dong-Kun, Cecilia Cheung di Hong Hong e il giapponese Hiroyuki Sanada. Girato nella Cina che sembra quella del periodo degli "Stati Combattenti", del III secolo A.C., è l'epica leggenda di una bambina povera che comincia il suo cammino su un campo di battaglia dove trova il modo di spogliare i soldati morti dei propri averi. Incontra un altro ragazzino che vorrebbe farla schiava e riesce a scappare soltanto grazie ad una promessa che non mantiene… Le appare una maga che le strappa un'ulteriore promessa: se vuole ottenere tutto la vita dovrà rinunciare all'amore vero. Passano gli anni e la ragazzina, ormai donna, è contesa da un valoroso ed eroico schiavo e dal suo padrone, un principe ammaliato e accecato da quella straordinaria bellezza. Si combatte, si muore, c'è anche un cuore dark e più misterioso in questo cinema, che però mai completamente riesce a renderci impotenti e nudi: si ha sempre la sensazione di "vivere" una semplice iridescenza di vane fantasie e non la decomposizione di miti antichissimi che risalgono all'età in cui i popoli interpretavano in maniera simbolica l'aurora, il tramonto, il sorgere delle stelle. Se il cinema è una intenzionale "finzione poetica", quello visto in The Promise sembra sempre alla ricerca del realismo nella fiaba. Il fallimento è scontato perché il cinema è la fiaba in cui il mondo appare riflesso, come in quelle palline di vetro con cui si gioca per la strada, che se malauguratamente cadono a terra, disperdono i propri sogni senza mostrare da che parte si rivolgono. E' un quadro teorico più che una cornice di riferimento come il capolavoro di Zhang Yimou, Hero, "sacrificio" (e)steso alla conoscenza in un mondo in continuo movimento, tra subitismo e gradualismo, coscienza ed azione.                 

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