BFM37 – Con gli occhi puntati verso l’Europa dell’Est

La terza giornata del BFM è un omaggio al cinema est-europeo, protagonista sia in Visti da Vicino che nella sezione Concorso. La parola d’ordine è contemplazione, per un cinema tutto da osservare

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Dopo la proiezione del documentario <3 di Marìa Antón Cabot verrebbe quasi la tentazione di ridurre in simboli matematici un altro documentario presentato in Visti da vicino al Bergamo Film Festival. Delta di Oleksandr Techynskyi è del resto il racconto di un cambiamento, la rappresentazione di un’evoluzione calcolata in due intervalli.

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Esattamente come in matematica.
Delta però è anche un condensato di storie che orbitano attorno ad uno dei fiumi più lunghi d’Europa: il Danubio. Dieci paesi attraversati, quasi tremila chilometri di lunghezza per poi sfociare nel Mar Nero. In quella zona umida – la più estesa del Continente – vivono persone ancora abituate a modellare il proprio stile di vita sui ritmi dettati da Madre Natura. Techynskyi insegue questi personaggi, sta dietro le loro ritualità di contadini, pastori e pescatori.

La sua macchina a mano restituisce un’immagine spesso sporca, ruvida come le mani di chi miete o taglia la legna per tutta la giornata. Intanto l’acqua scorre a ettolitri, i ghiacci si sciolgono e sugli alberi crescono i primi frutti. Il paesaggio muta ed il cambiamento è evidente, in questo intervallo di tempo filmato.
Gli uomini invece no, loro sembrano continuare ad essere legati ad un’idea ciclica del vivere. E non serve gioire se la bufera di neve sembra ormai passata; è già tempo di prepararsi per l’imminente arrivo della prossima. 

Bergamo Film Meeting

La sensazione di tempo che passa inesorabile, mutando solo l’apparenza delle relazioni, la si ha anche in un altro film proveniente dall’Est Europa.

Un om la locul oui, terzo film in concorso a questa trentasettesima edizione del Bergamo Film Festival, primo lungometraggio del regista rumeno Hadrian Marcu. La traduzione in inglese di questo lavoro è A decent man, un uomo onesto come Petru, il quasi quarantenne protagonista della sinossi. Petru è un ingegnere prossimo alle nozze con Laura, da cui aspetta un bambino. La sua vita viene sconvolta quando Sonia, una ragazza con cui ha avuto (e forse continua ad avere) una relazione è vittima di un grave incidente stradale. Sonia viene ricoverata nello stesso ospedale dove lavora Laura e ben presto la ragazza verrà a sapere dei continui incontri tra il futuro marito e Sonia.


Hadrian Marcu riscrive un intreccio tratto da Firsc, romanzo di Petru Cimpoesu, e lo spoglia di ogni riferimento temporale. Ricostruisce un presente in cui non ha più senso attaccarsi al regionalismo degli eventi. A decent man punta all’universalità dell’agire umano mettendo sul piatto domande che scavalcano il dato carnale per porre dubbi di natura etica. Dove sta il limite tra tradimento fisico e tradimento emotivo? Quale invece quello tra persona onesta e persona mediocre?


La parabola di Petru – bel lavoro, una famiglia in arrivo – è quella di un uomo che non riesce veramente ad abbandonarsi alle proprie sensazioni, troppo abituato a trasferire il raziocinio da ingegnere anche in quei luoghi in cui conta soltanto il sentire.
Hadrian Marcu sceglie di riprendere la materia narrativa mettendosi letteralmente all’angolo, proponendo un cinema fatto esclusivamente di totali e piani sequenza. Non un campo-controcampo, mai un carrello che si azzardi a scorgere qualche dettaglio in più. Come in una ipotetica quarta parete Petru e la sua famiglia parlano spesso dando le spalle alla macchina, sussurrano frasi quasi intimoriti dall’essere ripresi. Una scelta autoriale molto forte quella di Marcu, che in una sorta di soggettiva libera indiretta cerca di trovare un legame semiotico tra il distacco emozionale del personaggio e la grammatica filmica necessaria a raccontare. Il problema però è che in questo gioco di distanze il primo a doverne pagare le spese è proprio lo spettatore, costretto a spiare una storia che i protagonisti sembrano non volergli del tutto rivelare.    

   

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