BFM42 – Il cinema di Sacha Guitry: il palcoscenico della vita

Da Buona Fortuna! (1935) a La vita di un onest’uomo (1953), riviviamo circa vent’anni di grande cinema del maestro francese grazie all’omaggio a lui dedicato dal festival bergamasco

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Nella nostra recente intervista a lui dedicata, Roberto Andò, a proposito del rapporto tra cinema, teatro, letteratura nella sua ultima opera La stranezza, ci parlava di uno “scambio tra vasi comunicanti”. Come se il rapporto di influenza reciproca tra queste tre arti, tutte confluite all’interno del suo film, gli permettesse di avere una comprensione più nitida, più netta della realtà che ci circonda. Come se quando leggiamo, andiamo al cinema o a teatro, ci trovassimo di fronte lo specchio, più o meno deformato, della nostra realtà quotidiana. L’arte è vita e la vita è l’arte.

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Proprio come per il teatro e il cinema di Sacha Guitry. Anche se il grande attore e drammaturgo ha deciso di abbracciare questa nuova, moderna e dinamica forma di rappresentazione soltanto a cinquant’anni, additando a lungo la settima arte come “principale nemica del teatro”.

Lui, nato a Parigi nel 1885, figlio d’arte di Lucien Guitry, il maggior attore drammatico francese di fine Ottocento, l’andare in scena corrisponde con il nascere, il vivere, il morire. D’altronde un ragazzo che viene letteralmente rapito dal padre, portato a San Pietroburgo e fatto esordire sulle scene a soli cinque anni non può che conoscere la “vita” solo attraverso il palcoscenico, attraverso uno strumento terzo, interposto, che racconti, rappresenti quella vita, deformandola, rendendola più bella, più tragica ma non per questo meno reale.

Sacha Guitry è teatro e nient’altro. Ed è perché è teatro e nient’altro che è cinema. Il cinema è ciò che si basa sull’essere teatro e nient’altro che teatro. Più teatro è, meglio è. Si sogna meglio quando si vede il suggeritore, e Hitchcock lo sapeva come nessun altro. Più entri da una porta finta, più sembra reale.” (Così scriveva di lui Louis Skorecki, su Liberation,  il 16 novembre 2001)

Il Bergamo Film Meeting gli dedica un omaggio di undici opere che ci restituiscono una larga fetta dell’opera cinematografica all’interno della sua lunghissima carriera artistica. Da Buona Fortuna! (1935) a La vita di un onest’uomo (1953), riviviamo circa vent’anni di grande cinema. Un cinema che diventa, o meglio, è sempre un tutt’uno con la vita di Guitry, a partire dai sorprendenti titoli di testa con cui entriamo in gioco meta-cinematografico/teatrale da cui non è più possibile uscire (vedi trent’anni più tardi Godard).

C’è tutto di Sacha dentro il cinema di Guitry: l’amore per il teatro, per la raffinata messa in scena degli ambienti. C’è lui, con la sua fisicità e i suoi modi inconfondibili, il rapporto di amore e odio con il padre (con il quale non parlerà per più di tredici anni) omaggiato in un’opera matrioska come L’attore (1948) in cui Sacha, interpretando il doppio ruolo di se stesso e Lucien Guitry, riannoda i fili di un dialogo padre-figlio spezzato qualche anno prima dalla morte dello stesso Lucien. “Ho fatto Lucien Guitry perché Lucien Guitry mi ha fatto.”

Ma la retrospettiva è anche un omaggio al talento artistico di una comicità fatta di parole (non) pronunciate (La parola di Cambronne!), o di piccoli gesti, di sguardi potentissimi veicolati attraverso pochi ma calibrati primissimi piani che dimostrano l’enorme consapevolezza del mezzo cinema da parte di Guitry che andrà sempre più a strutturarsi con il passare degli anni, soprattutto quando il ruolo di protagonista delle opere di Guitry passerà a Michel Simon, uno tra i più popolari interpreti del cinema francese.

Insomma, un autore, direttore e interprete della propria arte sia davanti sia dietro le luci della ribalta. Che ha fatto e che ha vissuto il cinema come fosse il palcoscenico della propria vita.

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