Billie Eilish e l’etica del porno

Le recenti dichiarazioni della pop star offrono uno spunto di riflessione sul consumo consapevole di contenuti sessualmente espliciti

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Come donna, penso che il porno sia una vergogna. Guardavo un sacco di porno, a dire il vero, ho iniziato quando avevo tipo 11 anni. Penso che mi abbia davvero distrutto il cervello“. Queste sono state le parole che Billie Eilish ha rilasciato ai microfoni dell’Howard Stern Show. Se in passato la cantante aveva portato avanti battaglie per sdoganare il tema, oggi è tornata sui suoi passi, sottolineando le problematiche sessuali, psicologiche e relazionali connesse al consumo precoce di porno. “Pensavo che si imparasse così a fare sesso e invece mi ha portato a non rifiutare di fare delle cose che invece non andavano bene. Lo facevo perché pensavo di doverne essere attratta. Pensavo di essere cool nel non vederci nulla di male” ha aggiunto. Le dichiarazioni della cantante statunitense hanno riportato l’attenzione sulla problematica dell’età media – sempre più bassa – dei giovani che consumano materiale pornografico e sulle conseguenze che comporta.

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É indubbio che in assenza di un’educazione affettiva e sessuale adeguata, i giovani si rivolgano ai video espliciti come primo approccio alla sessualità, per imparare pratiche e costruire il proprio immaginario. Ma il porno confonde gli adolescenti sul tipo di sesso che vogliono o pensano di dover fare ed è così che i più giovani, incapaci di distinguere tra realtà e finzione per una mancata alfabetizzazione al porno e su come esso si traduca nella vita reale, vengono condannati ad un futuro prossimo di aspettative deluse e insicurezze, oltre a creare aspettative sessuali irrealistiche e spesso maschiliste, che sembrerebbero alimentare atteggiamenti sessisti, portando gli uomini ad aver minor disponibilità ad accogliere le esigenze dell’altro sesso e a sviluppare il desiderio di dominio, inteso come prevaricazione e aggressività. Oggi la posizione di Billie Eilish si concentra sulla linea di confine tra consenso o meno che secondo lei, in alcuni di quei filmati, è sottilissima e confonde quegli spettatori che ancora devono fare esperienza, sottolineando come il porno mainstream nella maggior parte dei casi contribuisca a oggettificare e degradare il corpo femminile, rendendolo soggetto passivo di filmati violenti e abusivi. La mercificazione del corpo della donna e la creazione di standard fisici e prestazionali falsificati sono solo la punta dell’iceberg nella problematizzazione dei contenuti espliciti che circolano sui siti porno mainstream, gratuiti e quindi facilmente accessibili da adolescenti e preadolescenti che non hanno gli strumenti critici necessari per elaborare e interpretare questo tipo di contenuti. L’alfabetizzazione pornografica fornisce una base nell’educazione sessuale che può aiutare i giovani a identificare situazioni dannose e ad affrontare argomenti come consenso e gestione del rifiuto.

Se da un punto di vista legislativo i governi di vari Paesi, come quello australiano e statunitense, si stanno muovendo per introdurre un sistema di verifica dell’età sui principali siti pornografici, un sistema di identificazione digitale solleva la questione del rispetto della privacy degli utenti, oltre a risultare facilmente bypassabile grazie a sistemi di reti private. Resta il fatto che la maggior parte dei contenuti presenti sui siti mainstream è prodotto, interpretato e indirizzato ad un target ben preciso, ovvero uomini bianchi eterosessuali, e la gratuità delle piattaforme non permette un controllo capillare sulla natura dei video condivisi. Il caso che ha fatto più scalpore è quello che ha investito PornHub alla fine del 2020, quando un’inchiesta del New York Times ha costretto il sito a cancellare oltre 7 milioni di video che raffiguravano in molti casi abusi sessuali su minori. Per non parlare di tutte le attrici che, a fine carriera, hanno denunciato violenze, costrizioni e performance estenuanti.

Per contrastare questo tipo di fenomeni, da anni il mondo delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali spinge per quello che viene definito porno etico, ovvero il consumo consapevole di contenuti sessuali realizzati in maniera totalmente legale e consensuale, rispettando i diritti e le condizioni di lavoro delle persone coinvolte, oltre a mostrare una versione del sesso più vicina alla realtà, più inclusiva, meno sessista e meno discriminatoria. Da circa 20 anni la principale promotrice di questa nuova ondata è stata la regista porno femminista Erika Lust, attiva nel promuovere prodotti che tendono a rendere centrale la sessualità delle donne senza mercificarne il corpo. Per questo motivo la pornografia etica propone un servizio a pagamento per contrastare lo sfruttamento dell’industria. Ciò significa introdurre, utilizzare, sia come creator che come consumatori, e investire sulle piattaforme a pagamento come OnlyFans e Patreon, tra i più conosciuti, ma anche Dipsea, Bellesa o CrashPadSeriers, che promuove una sessualità inclusiva e queer.

Una ricerca accademica condotta nel 2015 ha infatti evidenziato come, su un campione di 300 immagini selezionate dai 50 film pornografici più venduti, il 70% delle scene avesse come oggetto la dominazione maschile su quella femminile. É ormai assodato che il porno mainstream tende allo sguardo maschile eteronormativo, escludendo la maggior parte delle altre prospettive. Il porno etico spinge ad ampliare lo spettro della sessualità umana, scegliendo attori con differenti fisicità, diversi colori della pelle, generi e orientamenti sessuali ed eliminando gli stereotipi che feticizzano le persone marginalizzate, appartenenti a specifiche etnie, non binarie o con corpi non conformi. Se il porno etico è un’ottima risposta ad alcune problematiche del porno mainstream, resta il fatto che si tratta ancora di un prodotto di nicchia, sia per motivi culturali ma soprattutto economici. Questo genere di contenuti infatti si estende all’ambito retributivo che si traduce nella necessità da parte delle piattaforme di far sottoscrivere un abbonamento ai propri utenti. Il rischio diventa quello di portare avanti una produzione accessibile solo a una piccola parte di pubblico, tagliando fuori da questo cambiamento radicale proprio i ragazzi più giovani, cioè coloro che più avrebbero bisogno di confrontarsi con contenuti erotici in grado di trasmettere un’idea di sessualità libera, inclusiva e non stereotipata.

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