Blog NET NEUTRALITY – Franco Maresco a Lipari: chi semina vento…

A Fuori Orario le 10 ore girate da Franco Maresco a Il vento del cinema, festival/jam session diretto da Enrico Ghezzi, diamante grezzo incastonato nella battaglia in corso del regista vs Rai Cinema

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Prima tv su Rai3 a Fuori Orario, 10 ore girate da Franco Maresco alla prima edizione de Il vento del cinema, festival/jam session tra cinema e filosofia, diretta da Enrico Ghezzi, avventura che partì in Sicilia dall’isola di Lipari nel 2001 e continuò dal 2004 al 2009 sull’isola di Procida. Gioiello inestimabile, loop necessario. I mostri acefali, dispersi, intensamente marginali di terre e mari mitologici si contorcono nell’archivio permanente e mai fisso che si fa spettacolo dello spettacolo esploso e asperità che si conficca senza nome nella memoria nostra. Archeologia dell’immediato, passione, amore che brucia le immagini tutte insieme, con la cecità, col non mostrare quasi mai i propri occhi, parlando solo di quel che non si vede. Ecco, mi sono perso, ho perso, come sempre. Bela Tarr che scende i gradoni di una cavea naturale e ad accoglierlo quattro gatti, quattro gatti che ne fanno quarantaquattro. Queste cose ti segnano a sangue, ti segnano e ti consegnano in mano ad un potere, per un solo puro piacere.
Franco Maresco, in fondo, ha il dono della predilezione per tutto quanto rischia di perdersi e morire piuttosto che per quello che si destina all’avvenire. Si riappropria del gusto della deriva, si fa attrarre ancora di più dal momento di passaggio, l’emozione struggente dell’attimo prima della fine del viaggio, definitivamente sublimato in un crollo di interminabile bellezza e incalcolabile speranza. La mafia non è più quella di una volta e il viaggio del cervello nello stomaco, andata e ritorno, ti porta alla Rai, che pure lei non è più quella di una volta. Franco Maresco è il cinico che non tutti apprezzano, che magari potrebbe essere considerato ripetitivo, sempre uguale, non più geniale, che magari sfrutta la vuotezza celebrale o i disturbi psichici dei suoi protagonisti, fino all’indecenza etico-morale. Ma il cinico vuole bastare a se stesso, vive da randagio ai margini della società, pure disprezzata.
In verità Maresco, è tutt’altro che un randagio ai margini, non disprezza la sua terra, (si) spinge sempre ma non affonda, perché se affondasse smarrirebbe la sua tragicomica volontà. Allora basta. La censura ideologia è battaglia di segni, dove c’è un’immagine non può essercene un’altra. Ecco, inseguendo questa sovraimpressione continua di vita nostra, cosa nostra, di visione nostra e di emanazione delle immagini da questa guerra terribile, che calpesterebbe l’articolo 21 della Costituzione. Proprio quello che è successo con il suo ultimo meraviglioso film e le distanze prese da Rai Cinema per qualche “licenza autoriale” di troppo. Cominceremo a attraversare tutti i confini minuscoli, minimi, che alla fine arrivano fino a noi e che rendono possibile qualunque guerra.

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Quando Enrico Ghezzi parla di 7 film che poi ne farebbero 77, ripenso ai gatti in cavea, al miagolare alla luna, al graffiare la tela con il vento e gli artigli della luce e delle tenebre. D’altronde Julio Bressane, uno dei 7 per 77, contesta il cinema come musica della luce, troppo limitativo, o meglio, poco impressionante. Semmai il cinema, come il vento, ti spinge verso la frontiera, dove trova le sue intercapedini giuste, le arti ad attenderlo e a cingerlo di nitrato d’argento, quando fu. Ma in fondo, il cinema, anche oggi è un residuale bellico, da far brillare costantemente, a rischio di perdersi e perderci un arto, due arti. Otar Ioseliani lo sa bene, il cinema, manco nato, e già ebbe in regalo il sonoro, è il figliuol prodigo, prodigo viziato alla nascita e oggi i nostri occhi galleggiano lì, a cercar di spostarsi in questa ulteriore posizione, in cui si lotta e si muore dentro la storia, giusto Franco? Sei sempre al posto giusto nel momento giusto, l’ho già detto e lo ripeto, ti ritrovi con uno dei più “fortunati” sguardi in circolazione. Dieci ore di Deleuze, Deridda, Severino, Massimo Donà e tanti altri, nella loro forza documentaria si riallacciano perfettamente e unicamente a quel territorio, che diventa subito unico, dell’immaginario-cinema e che davvero, ci insegna molto, ci insegnerà molto quando lo comprenderemo o cercheremo di comprenderlo. Ma troveremo di abitare lì.
Lo sguardo di Maresco è una realtà perciò ci sfugge. Ci sfugge talmente tanto, che ad oggi soltanto un collega ha preso concretamente le sue parti, Paolo Benvenuti, tra i più importanti autori del cinema indipendente italiano. L’unico a rispondere all’appello che Franco Maresco ha lanciato, dalla piattaforma Miocinema, al mondo del cinema e della cultura più in generale. “Un gesto di solidarietà per noi molto prezioso che dovrebbe far riflettere tutti gli altri colleghi, i quali purtroppo è quasi certo che continueranno a tacere perché, lo sappiamo, “tengono famiglia”. Poveracci….”. Paolo Benvenuti ha dato piena solidarietà per la censura che Rai Cinema ha messo in atto nei confronti del film La mafia non è più quella di una volta. Rai Cinema ha tolto il logo dai titoli del film con la motivazione che esso contiene “illazioni e allusioni” che offendono la figura del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “In questa palude italiana, dove sono le stesse istituzioni a imporre, dettare e premiare la diffusione dell’ovvio, della volgarità e della violenza, il rigore morale del cinema di Franco deve essere difeso alla stregua di come i partigiani difesero l’Italia dal nazifascismo”. “La nostra Costituzione, a differenza di quella Americana, è una Cenerentola alla quale chiunque può strappare pezzi di vesti senza che nessuno vi si opponga. L’Italia è una nazione a responsabilità limitata… come vedi è sempre la solita storia, o Francia o Spagna, purché se magna…”.

Il vento del cinema non si placa, con Enrico Ghezzi, attraverso quel cinico sguardo, si riparte da un trucco infinito e siamo truccati da un trucco infinito, modellati, plasmati. Ritorna alla memoria un titolo di Abbas Kiarostami, forse non propriamente tra i sette, ma certamente di carica evocativa devastante. “Il vento ci porterà via”, soprattutto nella bella stagione, soprattutto ci porterà “emergenza”. In fondo, si incarna lo spirito vacanziero di sempre: nostro tempo feroce e fatuo ci ha imposto una scoperta terribile e stupenda, la solitudine. Oggi non occorre essere eremiti c’è solitudine per tutti. Difficile è la solitudine ma affascinante il colloquio segreto, l’ininterrotto dialogo di un sé con un sé più oscuro e misterioso, ascoltare la voce dei diversi “io” che diversamente si parlano. La nostra vita oggi è affidata a questo lento ed inesorabile esercizio.

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