CANNES 63 – "L'autre monde", di Gilles Marchand (Fuori concorso)
Il mare, il sole, gli amori che iniziano. E poi l’istinto irrefrenabile degli occhi che non possono fare a meno di guardare, di aggrapparsi alla superficie, per sfiorare il profondo, mai troppo nascosto. Certo. Marchand si perde nel ‘buco nero’, sfiorando troppo spesso l’ovvio. Ma il suo sguardo naïf è irresistibile quando incrocia i due giovani innamorati e racconta la luce
Gilles Marchand, al secondo lungometraggio dopo Qui a tué Bambi?, si lancia a capofitto in un’altra thriller story da ‘nuovo mondo’, muovendosi lungo i confini sfumati del reale e del virtuale. Al centro della storia, stavolta, non c’è più internet, ma un videogame, un gioco multiplayer in 3D chiamato Black Hole (che ha più di una connessione con Second Life). Tutto parte dal ritrovamento di un cellulare, da una misteriosa telefonata, da alcuni sms che sembrano scritti in codice. Due giovani innamorati, Gaspard (Grégoire Leprince-Ringuet, protagonista, tra l’altro, anche de La princesse de Montpensiere di Bertrand Tavernier) e Marion (Pauline Etienne) incuriositi da quella che sembra solo un’innocente avventura, decidono di seguire le tracce di quella comunicazione segreta e si ritrovano nel bel mezzo di un tentativo di suicidio. Tutto sembra finire lì. Ma Gaspard si appassiona sempre più a Black Hole e alla conturbante Sam (Louise Bourgoin) e si lascia trascinare in una storia dai contorni torbidi.
C’è una curiosa connessione tra L’autre monde e un altro dei film di quest’edizione di Cannes, Chatroom di Hideo Nakata. E’ il segno che a tutte le latitudini si fa sempre più pressante l’esigenza di una riflessione sull’invasione destabilizzante del virtuale, che erode progressivamente lo spazio del reale, ne restringe i contorni, fino a farli evaporare. E per di più, in entrambi film, il tema si collega a doppia mandata con l’impulso suicida, come a suggerire che il richiamo irresistibile di una seconda vita sia già di per sé una rinuncia a vivere. Marchand, a differenza di Nakata, non ha la capacità di raccontare in maniera convincente l’osmosi drammatica che si instaura tra i due mondi. La stessa scelta di adottare due diversi linguaggi (la live action e l’animazione in 3D) segnala l’evidenza di uno scollamento, di una difficoltà a rintracciare il punto di cortocircuito e di fusione. Il virtuale rimane freddo e distante (come i colori grigi e cupi di Black Hole) e il fascino dell’avatar è annichilito nell’assenza di un’implicazione teorica. Tuttavia il regista francese, ben più del giapponese, sa cogliere altre segrete ambiguità del reale. E fa de L’autre monde il ‘dominio’ di una patologia nascosta e imprevedibile. Racconta quel germe della corruzione che si cela in un mondo di purezza. Quel richiamo della perdizione che sprofonda nell’insensatezza l’innocenza dell’anima. A tratti il film sembra riportare in vita i mondi di Lynch. Il mare, il sole, gli amori che iniziano. E poi l’istinto irrefrenabile degli occhi che non possono fare a meno di guardare, di aggrapparsi alla superficie, per poi sfiorare il profondo, mai troppo nascosto, il peccato, il rifiuto, la disperazione, la morte. Certo. Marchand si perde nel ‘buco nero’, sfiorando troppo spesso l’ovvio. Ma il suo sguardo (quello sì davvero naïf) è irresistibile quando incrocia i due giovani innamorati e racconta la luce. Una canzone, un bacio al tramonto, un pomeriggio d’amore a fior di pelle. E la meraviglia di una corsa in bicicletta. Come in un film di Truffaut.