Cannes 77 – Marcello mio: incontro con Christophe Honoré e il cast

Il regista francese, insieme a Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve, ha parlato alla stampa del suo nuovo lavoro presentato in Concorso al Festival, tutto incentrato su Marcello Mastroianni

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“È sempre un po’ difficile risalire alle origini di un progetto. La memoria finisce per cambiare un po’ le cose. Si finisce per pensare che ci sia un unico punto di partenza, mentre in realtà ce ne sono stati diversi. In ogni caso, posso certamente parlare della complicità che abbiamo costruito con Chiara, film dopo film. Non posso sfuggire a Chiara Mastroianni. E da molto tempo volevo parlare del lavoro degli attori, ma non necessariamente su un palcoscenico, ma di questa idea di cosa significhi avere un’identità di attore. Il parallelo che può esistere tra l’essere uno spettatore al cinema e l’identificarsi con le persone che si vedono sullo schermo, e il lavoro che gli attori devono fare prima di potersi improvvisamente identificare con un personaggio. Questo lavoro di doppia identificazione era qualcosa che mi interessava molto.  Cosa significa passare la propria vita rubando o assumendo l’identità di altre persone? Che cosa porta tutto ciò, sia in termini di gioia che di problemi, a queste persone così speciali (gli attori)?”

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Con queste parole si è aperta la conferenza stampa di Marcello mio al 77esimo Festival di Cannes. Parole con cui Christophe Honoré (Le lycéen), che ha incontrato i giornalisti insieme al cast, ha voluto raccontare la genesi del suo nuovo lungometraggio.

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Marcello mio, omaggio a Mastroianni nel centenario della sua nascita è infatti una riflessione sul mondo della recitazione e su coloro che ne fanno parte. Che prende il via quando la protagonista Chiara Mastroianni, interprete di se stessa, decide di “trasformarsi” in suo padre per il tempo di un’estate, ripercorrendo i luoghi che hanno segnato la vita di Marcello in compagnia della madre Catherine Deneuve e di altre conoscenze “cinematografiche”.

“Quando Christophe me ne ha parlato, mi ha incuriosito”, racconta l’attrice classe 1972. “L’ho trovato molto audace, in effetti. Desideravo molto lavorare di nuovo con Christophe naturalmente, e nel corso degli anni e dei progetti che abbiamo realizzato insieme si è creato un tale sentimento di fiducia tra noi che, quando mi ha parlato di questa idea, mi sono incuriosita ed ero molto entusiasta. Quando si ha la fortuna di avere qualcuno con cui si può lavorare in un certo modo, le cose accadono e basta”.

Il progetto ha coinvolto, come è noto, anche l’attrice francese Catherine Deneuve, la quale, inizialmente forse poco convinta, ha subito cambiato idea una volta letta la sceneggiatura: “Mi è piaciuta molto, ho pensato che avesse molto spirito, molta tenerezza e molti riferimenti. Ho pensato che fosse molto originale, quindi sì, ho accettato”. Deneuve che, tra l’altro – come ricorda la stampa in una breve parentesi, aveva già interpretato se stessa nel film del 2008 Je veux voir, co-produzione franco libanese. Esperienza che l’interprete ricorda con grande emozione: “È stata una ripresa molto importante per me, molto commovente e molto avvincente. Sono rimasto molto colpita. Non sapevo molto del Libano ed è vero che attraversarlo in quel modo, fino al confine con Israele, è stato molto, molto forte. È un ricordo molto forte. E amo molto il Libano. Mi stupisce vedere la forza che hanno di andare avanti, di riprendere da dove hanno lasciato, di ricostruire, di vivere. È un grande ricordo per me”.

Tra i volti noti del film, oltre a Nicole Garcia, Benjamin Biolay e Fabrice Luchini, ha preso la parola anche Melvil Poupaud, che ha tenuto a sottolineare quanto sia stato sorpreso dal ruolo affidatogli dal regista, perché “non mi riconoscevo affatto in quel particolare Melvil. Mi sono detto: questa è una versione strana di me, non ci conosciamo così bene con Christophe. Ed è qui che mi è piaciuto il film, perché ci sono i nostri nomi, un po’ la nostra immagine, ma completamente diversi. Così ho avuto l’impressione di interpretare il ruolo di un altro Melvil, e soprattutto il ruolo di un attore; e ho trovato interessante, ogni volta che apparivo nelle scene, essere un po’ qualcun altro”.

Per quanto riguarda la sceneggiatura di Marcello mio, ammette Honoré, “mi sono proibito, per esempio, di leggere qualsiasi biografia di Marcello Mastroianni, perché non volevo che il film fosse in alcun modo né un biopic né uno svelamento della vita privata. Dico biopic, perché spesso i biopic sono così. Si cerca di spiegare un personaggio svelando i suoi misteri. E quello che spero è che il film, al contrario, crei un ulteriore mistero su queste persone. Così ho sognato la vita di Marcello, chiedendo a Chiara solo due o tre piccole cose, ma molto concrete. È così che è stata costruita la sceneggiatura, e d’altra parte ho rivisto molti film di Marcello Mastroianni, e con tanto piacere, perché era l’epoca d’oro del cinema italiano, e quando si torna a Fellini, a De Sica, ad Antonioni, insomma a tutti quei film che conosciamo così bene degli anni ’60 e ’70, da cineasta è inevitabile dirsi: c’è stato un tempo, in fondo, in cui il cinema era magico”.

“Quello che mi piace molto in questo film”, ha aggiunto Chiara Mastroianni, “è che, è vero, abbiamo nomi importanti, ma alla fine si racconta di legami familiari che tutti conosciamo o che tutti abbiamo conosciuto, in un modo o nell’altro. L’appartenenza ai genitori attraverso la somiglianza che abbiamo o meno con loro credo sia una questione che tutti si pongono”.

Un film in cui c’è spazio per l’improvvisazione e, conclude il cineasta, per le cose che, semplicemente, accadono: “Questo è il mio quindicesimo film e oggi so che il momento ideale nella realizzazione di un film è quello delle riprese. È lì che la verità può venire fuori. Tutte le verità che mettete nelle vostre sceneggiature sono in genere sempre un po’ stereotipate, perché sono idee che avete. Ma a un certo punto, durante le riprese, ci sono due elementi che non puoi controllare e che all’improvviso fanno sì che il tuo film sia davvero in linea con la vita: il tempo, perché piove e tutto il resto, e sono sempre felice quando piove quando avevamo programmato che ci fosse il sole; e in secondo luogo l’umore degli attori. Perché non si sa cosa hanno passato il giorno prima, cosa hanno passato prima di girare, ma arrivano con uno stato d’animo particolare. So che ci sono registi che vogliono il controllo e che vogliono riportare gli attori sempre al copione; io, invece, benedico sempre il momento in cui vedo che gli attori, in effetti, arrivano con qualcos’altro e che qualcosa sta per accadere”.

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