Carlo Levi e l’arte della politica – Disegni e opere pittoriche

Fino al 13 Luglio la mostra ospitata ai Musei di Villa Torlonia di Roma racconta la poliedrica personalità di Carlo Levi, oscillante tra impegno politico e attenzione sociale verso il Meridione

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Cristo si è fermato a Eboli ma per fortuna il suo autore no. Carlo Levi riuscì infatti ad uscire dalla secche istituzionali da lui denunciate della città lucana e superando per fortuna indenne il confino politico impostogli dal fascismo. La mostra “Carlo Levi e l’arte della politica – Disegni e opere pittoriche” prorogata ai Musei di Villa Torlonia di Roma fino al 13 Luglio, curata dal Centro Carlo Levi di Matera e dalla Fondazione Carlo Levi racconta il periodo più politicamente impegnato dell’autore del famoso romanzo, che va più o meno dalla Liberazione fino alle prime elezioni della Repubblica. Un riscatto ideologico e personale dalla violenza dittatoriale di cui era stato una delle tante vittime sia come intellettuale figlio della buona borghesia che come ebreo, una doppia infamia che il regime punì con la violenza dell’esilio in patria. La mostra dei Musei di Villa Torlonia vuole evidenziare da subito come le due arti in cui Carlo Levi eccelse, la pittura e la scrittura, siano state fortemente connotate da una sensibilità politica e sociale che negli intellettuali nati e cresciuti tra le due guerre era molto presente. Per farlo sceglie un percorso cronologico che parte dalle vignette satiriche per arrivare ai ritratti della maturità, alle nature morte e qualche escursione nei temi biblici. Mancano certamente quadri e romanzi famosi ma questa assenza è compensata dal sapiente lavorio sul contesto culturale in cui egli si mosse sin da giovane. Le “Leggi in Difesa della Razza” promulgate da Mussolini nel 1938 costringono innanzitutto Levi all’esilio in Francia e a non poter più esporre. In questo periodo dipinge soprattutto ritratti e scorci di Roma ma l’orrore della guerra e quello preveggente (quando lo dipinge nel 1942 non si aveva ancora nitore di come fossero davvero strutturati) dei campi di concentramento si manifestano in quadri di piccole dimensioni come La casa bombardata e Le donne morte (lager presentito). La scelta dei disegni politici, proseguendo nel percorso, è molto oculata e senza paura di annoiare il visitatore medio riesce a rendere bene la storia dell’Italia del dopoguerra, dalla lotta affinché i valori della Resistenza entrassero a piene mani nell’ordito istituzionale alla caduta di questa illusione sopravvenuta con le prime elezioni libere. I Disegni politici sono stati realizzati su fogli di grandi dimensioni rispetto al piccolo spazio dei fogli di giornali su cui erano ospitati. Diversi i modi e le maniere usate da Levi per il dileggio spesso sferzante dei suoi compagni politici.

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Come si è detto prima, egli fu infatti molto attivo dalla sconfitta delle forze nazifasciste: dal 1945 per due anni dirige L’Italia libera, organo nazionale del Partito d’Azione per poi confluire nel giornale L’Italia socialista, nato nel Giugno del 1947 sotto la direzione di Aldo Garosci con l’obiettivo di dar voce alla componente oramai minoritaria del Partito d’Azione che avversava la confluenza del Partito in quello socialista ed in cui figuravano personalità del rango di Pietro Calamandrei, lo stesso Levi, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria. Per il giornale scrissero anche Gaetano Salvemini, Ignazio Silone e Altiero Spinelli, a testimonianza della sua importanza storica. I Disegni politici furono pubblicati tra l’Ottobre 1947 e il Febbraio 1949 proprio sul quotidiano L’Italia socialista ed ospitati in prima pagina, essi erano la libera manifestazione del pensiero dell’autore spesso inviso alle classi dirigenti di un partito invischiato nei calcoli per andare al governo. Levi era consapevole che tra il 1947-48, entrata in vigore la Carta Costituzionale, si stava determinando una svolta decisiva nella politica italiana perché stava pericolosamente tornando in auge il vecchio mondo conservatore, organizzatosi nella sua versione cattolica, la DC guidata da Alcide De Gasperi. Chi invece s’era fatto garante dei valori della Resistenza si smarriva nel (solito, per noi contemporanei) bosco ideologico di un paio dei più sferzanti disegni e dava corpo al Fronte Democratico Popolare (PCI e PSI), destinato a sicura sconfitta alle elezioni del 18 Aprile 1948. Ogni disegno registra un passo di questi eventi e la mostra riesce pur nel non foltissimo numero di opere presenti a darne testimonianza. Il 18 Aprile del 1948 si svolgono le prime elezioni dell’Italia Repubblicana dopo il biennio collegiale tra le forze politiche della Resistenza conclusosi con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1 Gennaio dello stesso anno. La schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi sul Fronte Popolare formato da PCI e PSI (436 parlamentari contro i 255 di quella che per tanti anni resterà opposizione) fa cadere definitivamente le illusioni della rivoluzione sociale da compiersi sotto l’egida dei valori della Resistenza. Esemplificativo in tal senso il passaggio de “L’orologio“, l’altro grande capolavoro letterario di Carlo Levi, riportato in un pannello che sembra essere l’epitaffio di altre analoghe esperienze novecentesche: “Eravamo partiti che volevamo la rivoluzione mondiale, poi ci siamo accontentati della rivoluzione in Italia, e poi di alcune riforme, e poi di partecipare al Governo, e poi di non esserne cacciati. Eccoci ormai sulla difensiva: domani saremo ridotti a combattere per l’esistenza di un partito, e poi magari di un gruppo o di un gruppetto, e poi, chissà, forse per le nostre persone, per il nostro onore e per la nostra anima: cose sempre più piccole e più lontane, e un’astratta passione, sempre uguale“. Negli anni Cinquanta l’impegno politico lascia il posto a quello sociale. La produzione pittorica di quel decennio è incentrata sulla denuncia dei mali endemici del Meridione, terra di numerosi viaggi intrapresi.

Ne Le contadine rivoluzionarie Levi vuole dare testimonianza della ribellione dei contadini contro le ancora persistenti baronie feudali, culminata con l’occupazione delle terre tra il 1947 e il 1950. I volti scavati dei protagonisti della tela di grandi dimensioni, simili a teschi, rappresentano la fatica dell’emancipazione da questo sistema di sfruttamento. Il tono e i colori sono molto lugubri ma l’occupazione dell’intera prospettiva da parte di questo fantasmatico gruppetto, dipinto con pennellate larghe, lascia intendere che lo spazio pubblico è oramai loro. Queste donne e questi bambini pur nella loro sofferenza resteranno lì a chiedere alla Storia ciò che gli spetta di diritto. Anche il ritratto di Danilo Dolci, poeta e attivista della non-violenza, vuole essere il tributo alla lotta per la legalità che negli anni Sessanta in Sicilia cominciava finalmente a darsi una prima struttura ideologica nella lotta contro la mafia. E proprio i ritratti della mamma e del padre, assieme a quelli dei compagni di lotta, rappresi in attimi d’indecifrabile morbidezza pittorica, chiudono il percorso espositivo lasciando un acre senso di amarezza nel visitatore. Leone Ginzburg ci accompagna all’uscita col suo sguardo gentile ma fermo: quando abbiamo smesso di credere nei nostri ideali? Carlo Levi fu sconfitto dall’evoluzione politica della Repubblica senza però arretrare un attimo nell’attenzione verso le incredibili idiosincrasie del Belpaese. I suoi disegni politici restarono abbozzi ma erano parte di progettualità ben definite. La comparazione con gli attuali scarabocchi della classe dirigente nostrana è desolante.

 

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