Cinema Speculation. Quentin Tarantino critico

Il libro del grande regista americano, edito da La nave di Teseo, attraversa saggistica e autofiction, ma in filigrana esibisce tutte le caratteristiche di un vero e proprio “racconto di formazione”

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È un libro interessante Cinema Speculation. È “bello” da leggere ed è molto personale. Scorre in modo forsennato tra autofiction, saggistica e testo storico e anche se parla del passato, concentrandosi su film e ricordi che vanno dal 1968 al 1981, è un libro figlio del nostro tempo. Lo è stilisticamente, per come alterna la prima persona singolare con approcci prevalentemente analitici — uno storytelling decisamente di moda, lo sappiamo, ma se funziona (ed è ottima la traduzione di Alberto Pezzotta) è abbastanza inutile storcere il naso come cervellotici snob di retroguardia. E lo è contenutisticamente per come inserisce al primo posto l’esperienza epidermica e percettiva della visione (e quindi anche il giudizio soggettivo) rispetto alla collaudata narrazione storiografica. È davvero l’opinionismo il grande male della critica — cinematografica e non — del nostro tempo? Se così fosse Cinema Speculation andrebbe preso e forse buttato nel cesso. Ma il secondo libro di Tarantino — il primo, anch’esso edito da La nave di Teseo, era la versione romanzata di C’era una volta a Hollywood — non vuol essere un testo accademico, quanto una “sua” rilettura della storia del cinema degli anni ’70, dove a fianco di Pauline Kael e Al Pacino, trovano spazio, e anzi qualcosa di più, Jim Brown, il critico del Los Angeles Times Kevin Thomas e addirittura un omaggio a Barry Brown, lo sfortunato protagonista di Daisy Miller di Bogdanovich. La netta distinzione tra New Hollywood e Movie Brats è brutale, forse imprecisa, ma intrigante nell’indicare il successo di pubblico e la formazione cinefila dei secondi rispetto alla prima, e più ideologica, fase della “rivoluzione”. La rilettura di tutta la filmografia di Brian De Palma in chiave prevalentemente commerciale e tecnica è difficilmente contestabile, tanto quanto la smisurata stima nei confronti di Don Siegel e Peter Yates (“che cineasta sarebbe stato Yates se avesse fatto quattro, cinque film come Bullit?” si chiede l’autore). E se chi scrive ha avuto un sussulto nel veder archiviati con sufficienza, per non dire peggio, titoli amatissimi come Una squillo per l’ispettore Klute e Il grande freddo, dove diavolo lo troviamo un libro capace di ritirare fuori Alligator di Lewis Teague e Harlem Nights di Eddie Murphy e dire che erano bei film?

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Tarantino ci ricorda che ogni nostro passo all’interno del nostro amore per il cinema e per i film è innanzitutto “privato”, forse anche biologico. E solo successivamente intellettuale. Vede in Peter Bogdanovich, più volte chiamato in causa sia come regista, sia come figura di riferimento e testimone di un periodo storico, una sorta di fratello maggiore, il critico-cineasta della generazione precedente da cui ereditare in qualche modo il ruolo del cinefilo divulgatore. E da cinefilo-divulgatore fa quello che ci si aspetta da un amante della exploitation come lui. E quindi giù mazzate a John Boorman e Robert Altman e intere pagine dedicate invece all’amatissimo John Flynn, presente in ben due capitoli dedicati rispettivamente a Operazione crimini (1973) Rolling Thunder (1977). Quest’ultimo scritto da Paul Schrader, che è un po’ il secondo grande referente artistico con cui il regista di Pulp Fiction si misura: lo scrittore di film straordinari da emulare, scomporre e da cui allo stesso tempo liberarsi (“Paul Schrader è uno splendido sceneggiatore, con un gigantesco punto debole. Non sa scrivere film di genere”).

Dietro la bulimia di titoli, attori, registi, giudizi e aneddoti, resta in filigrana il grande “tema” nascosto di Cinema Speculation: la ricerca inconscia e malinconica di una figura paterna. Che sia attraverso la compagnia e le opinioni dei compagni della madre (o dell’amico trentacinquenne afroamericano Floyd, una sorta di mentore alla Samuel L. Jackson a cui è affettuosamente dedicato l’ultimo capitolo) o la visione e re-visione degli autori da idealizzare o abbandonare (come sempre si fa del resto con i propri “padri”) il Tarantino di Cinema Speculation è un figlio che cerca in tutti i modi di recuperare quel dialogo mancante, rintracciare l’(anti)eroe con cui crescere e su cui proiettare i desideri e i dubbi della vita. C’è una sottile tensione in tutte le pagine del libro verso questo tipo di figura. Non è un caso che in diversi momenti gli adulti con cui il giovane cinefilo e futuro regista va al cinema occupano quasi lo stesso spazio riservato ai film. E quindi sì, Cinema Speculation è un po’ anche Il giovane Holden di Quentin, il suo coming of age in cui il cinema c’è, ma solo in apparenza è la “cosa” più importante. Uno strumento, per Tarantino il migliore ovviamente, per conoscere il mondo. Il linguaggio e l’immaginario con cui ricordare e forse riscrivere la propria vita.

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