CinemAsia – Miss Zombie: il ritorno di Sabu

miss zombie

Dopo le carinerie impostate di Bunny Drop (2011) e la ribellione anacronistica di Kanikosen (2009), Sabu, alias Tanaka Hiroyuki, torna a squarciare il cinema di genere con il suo umorismo nero. Miss Zombie è un film di non morti atipico, tra omaggi al cinema muto e riflessioni sulla maternità e sulla posizione della donna nella società giapponese. La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

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miss zombieFin dal suo esordio con Dangan Runner, nel 1996, e soprattutto con Postman Blues, dell'anno successivo, Sabu ha dichiarato la sua appartenenza trasversale al cinema di genere più nervoso. Storie adrenaliniche di inseguiti e inseguitori, con uno sguardo da commedia nera e una propensione alla costruzione di intrecci che badano più al principio di coincidenza che di causalità. Aveva iniziato la carriera come attore, fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, ma la notorietà è arrivata proprio con il salto alla regia. Una notorietà strana, quasi carbonara, però: Sabu è sempre sembrato rimanere nascosto, nonostante il suo cinema si muovesse negli stessi territori battuti da altri connazionali ben noti anche in Occidente, con storie ordinarie di yakuza, perdigiorno e sbandati. Meno incendiario di Kitano Takeshi, meno sregolato di Miike Takashi, meno intenso di Tsukamoto Shinya – Sabu ha però lavorato di cesello sulla struttura circolare delle storie e si è ritagliato un seguito iniziatico.

miss zombieNegli ultimi anni, nel tentativo di uscire dalle strette di uno schema ormai perfezionato, aveva provato a districarsi in un cinema più commerciale – come nel caso di Bunny Drop, riduzione di un manga di Unita Yumi e della conseguente serie animata, che però rimane ancorato dalle esigenze di trasposizione fedele del materiale di partenza e non gli permette di esprimersi in libertà. D'altra parte anche il tentativo con il precedente Kanikosen, noto anche come The Crab Cannery Ship, gli si era ritorto contro: la storia dello scontro tra un povero equipaggio di pescatori e le storture disumane del capitalismo, tratta da un breve romanzo di Kobayashi Takiji del 1929, per quanto sacrosanta, ha un incedere ultra-retorico che imbriglia il possibile coinvolgimento emotivo.

Con il recente Miss Zombie Sabu torna invece nell'alveo del cinema di genere. Lo fa però a modo suo, con un taglio ironico che ha spesso il sapore del grottesco, in un bianco e nero livido (che si riserva il colore per una sola sequenza, la più struggente, nel finale) e con una sceneggiatura che elide quasi completamente i dialoghi: le parti parlate, essenziali, sono riservate alla prima metà, mentre quella finale è sostanzialmente muta, a ritrarre al meglio gli aspetti primordiali della storia, sottolineati con forza dai ricorrenti e curati raccordi sonori.

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In Giappone è in atto un'epidemia di zombie dai contorni non meglio precisati: i non morti sono suddivisi secondo la severità dell'infezione contratta, e i meno pericolosi iniziano a essere distribuiti come servitù per la classe benestante. Il dottor Teramoto, che abita in una lussuosa villa isolata, si vede recapitare uno dei primi campioni, Sara. Insieme alla gabbia che la contiene arrivano anche le istruzioni (nutrire solo con vegetali, mai con carne) e una pistola (in caso di inaspettati problemi). Sara diventa una sorta di domestica, alle dipendenze della moglie del dottore, che la tratta con gentilezza e distacco. La donna non-morta ha il compito di raschiare con una spazzola l'acciottolato del cortile, ma la sua presenza turba gli equilibri familiari e del villaggio: il piccolo figlio della coppia la fotografa di nascosto, due muratori alle dipendenze del dottore la guardano con occhi vogliosi, i ragazzini del paese le riservano continue derisioni e lancio di sassi, i giovani ne approfittano per insultarla e sperimentare su di lei arnesi contundenti, visto che non può provare dolore.

Miss Zombie ha un ritmo compassato e ipnotico, che mette in scena un progressivo deragliamento verso la violenza – fisica e psicologica. La non-morta è l'elemento perturbante che disancora le ipocrisie della vita borghese, la vittima designata che in forza della sua sola presenza porta al punto di ebollizione i silenzi e i non detti di una vita familiare apatica. Sara, la zombie protagonista, non è l'essere acefalo e famelico della tradizione horror di celluloide, ma una donna sola e sperduta, che conserva tracce sul corpo del suo passato oscuro (il taglio sullo stomaco che l'ha separata dal figlio, quando era incinta ed è stata infettata). Sabu sfrutta le valenze sociologiche della sua allegoria per mettere a nudo il maschilismo imperante in Giappone (e non solo). Sara non può ribellarsi e diventa per questo una sorta di donna ideale, dal punto di vista maschile/maschilista: obbedisce agli ordini, è muta e inconsapevole della sua sensualità (quando è inginocchiata a raschiare le pietre). Lo sguardo maschile la ingloba (il bambinetto che la fotografa, i due braccianti che la assalgono, infine il marito che la “seduce”), fino a fagocitarla. A questa visione si contrappone la volontà materna dello zombie, che lentamente torna a ricordare ciò che ha perso e che vorrebbe indietro. Per questo si innesta un confronto con la moglie del dottore, che prima si vede sottrarre l'uomo a cui è sposata, poi il figlio.

Mescolando sapientemente Warm Bodies (Jonathan Levine, 2013) con il coreano The Housemaid (Kim Ki-young, 1960), Sabu costruisce un film ombroso e scattante, che parte da una logica low budget per farsi analisi non banale sugli istinti dell'uomo (e della donna) quando gli viene sottratto tutto, persino la sua umanità.



La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

 

IL TRAILER DI MISS ZOMBIE

 

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