Dario Argento Panico, di Simone Scafidi

Tra fiction e documentario, il racconto di una carriera che si fa testimonianza viva e pulsante di uno dei cineasti più autentici del cinema italiano. VENEZIA80. Classici

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

A qualcuno il nuovo film di Simone Scafidi potrà apparire una tappa obbligata: un film dedicato a Dario Argento, dopo il fortunato Fulci for Fake, in una sorta di ideale legame di continuità nel segno dei grandi nomi dell’horror italiano. Magari in un ironico rovesciamento di prospettive rispetto alle accuse che lo stesso Argento muoveva verso il collega, reo di aver spesso “copiato” da lui.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Eppure, a ben guardare, la sfida è tutt’altro che simile: da un lato Fulci, un autore scomparso da tempo e che ha attraversato tutti i generi, in una carriera prolifica e rimasta troppo spesso ai margini del dibattito critico nostrano, circondato per questo da un’aura di mistero che rendeva l’indagine un territorio affascinante e in larga parte inesplorato. Tutt’altra storia con Argento, che è ancora attualità del cinema e su cui tanto si è già detto, scritto e filmato, complice anche il protagonismo con cui il regista-rockstar si è sempre concesso agli obiettivi, presentando rassegne, intervenendo ospite in festival e omaggi, oltre che nei tour di promozione legati alle uscite di ogni suo nuovo lavoro. Da un lato, insomma, un autore popolare (per la varietà della sua opera), ma nascosto. Dall’altro un riconosciuto maestro che è anche un’icona di popolarità.

Il fulcro sta però lì, nel Panico circoscritto dal titolo: che è, immaginiamo, quello che può assalire all’idea di doversi confrontare con un autentico moloch del cinema, ma che si rivela soprattutto un sentimento guida nel rapporto tra Argento e il set. Luogo amato e temuto, affrontato appunto con il panico prima di ogni inizio delle riprese, in contrapposizione all’amato buen retiro cui l’autore romano si sottopone sempre per scrivere con calma le sue sceneggiature. Scafidi parte da qui, da una cornice di fiction in cui vediamo Argento proprio durante una di queste dorate auto-reclusioni in un albergo della provincia laziale, per dare forma a un film che diventa naturalmente il documentario della sua carriera, raccontata secondo la formula delle interviste a collaboratori e familiari.

L’indagine segue la linearità del percorso artistico argentiano, dalla nascita in una famiglia dove si respirava cinema (padre produttore e madre fotografa delle dive), alla fase della scrittura – ancora – di articoli per Paese Sera e sceneggiature per altri, fino all’approdo alla regia con i titoli che hanno fatto la storia: L’uccello dalle piume di cristallo, 4 mosche di velluto grigio, Profondo rosso, Suspiria, Inferno, Opera e via citando. Quel frutto fecondo del panico si cristallizza così negli incubi celebrati tanto dai collaboratori più noti (gli sceneggiatori Franco Ferrini e Luigi Cozzi, il musicista Claudio Simonetti), quanto da chi quei film li ha usati come autentica lezione di stile, come Gaspar Noé o Guillermo del Toro, che approfondiscono la natura ossessiva eppure fiabesca della produzione argentiana.

Una distribuzione di ruoli ben congegnata, che in fondo è solo uno dei tanti dualismi che lentamente emergono da questo viaggio nel profondo rosso dell’opera del regista: l’Argento lieve della scrittura contro quello “materiale” del set, dove è stato spesso pioniere di invenzioni stilistiche e introduzione di macchinari fino a quel momento inediti per i nostri set. Poi l’Argento fragile e dalla voce sottile degli interventi ripresi nel presente, contro quello giovane e incontenibile dei filmati d’epoca. E infine l’Argento grande artista, opposto all’uomo con i suoi affetti e le sue fobie. È la parte che si fa sempre più insistente, man mano che la narrazione prosegue, in cui vediamo le testimonianze dirette della sorella Floriana, della prima moglie Marisa Casale e naturalmente delle amatissime figlie Fiore e Asia, ma anche l’ombra di chi è scomparso, il padre-complice Salvatore e la figliastra Anna Ceroli. Sono loro a sfondare la quarta parete della rappresentazione argentiana finora più nota, lasciando emergere l’umanità e le debolezze di un artista che con la stilizzazione dei suoi incubi ha elaborato il rapporto con un mondo fatto di felicità e dolore, e che in questo modo ispessiscono una produzione da sempre considerata autosufficiente rispetto alle sue invenzioni. Un corpus filmico che nelle mani di Simone Scafidi diventa così materia ancor più viva e pulsante. L’amore e l’orrore, insomma, come proprio su questi spazi quel cinema lo abbiamo da lungo tempo definito…

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3.42 (12 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array