(doc) “VedoZero”, di Andrea Caccia

vedozero di andrea caccia
VedoZero
si caratterizza progressivamente come la dimostrazione quasi scientifica della mutazione genetica avvenuta all’interno dei moduli del linguaggio delle ultime generazioni, abituate a quanto pare a comunicare inconsapevolmente ed istintivamente ad un livello di elaborazione visiva che rimugina senza soluzione di continuità sedimentazioni di stimoli lasciate ad attecchire sottotraccia subito dietro il primo strato degli occhi. La versione amatoriale e ignara di 15 di Royston Tan

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vedozero di andrea cacciaAndrea Caccia ha chiaramente ambizioni sociologiche quando decide di mettere in piedi il progetto di VedoZero, spedendo in giro 70 liceali, suoi studenti, con i loro videofonini a riprendere la propria vita e le proprie storie per poi riportarle in dote come contributo a questo gigantesco mosaico di frammenti di quotidiana adolescenza depressa e tribolata tenuto insieme da riflessioni fuoricampo, sms criptati trascritti sullo schermo, musica elettronica evocativa.
Ma più che la versione teen dell’incommentabile Sbirri di Roberto Burchielli (alcool e droga girano anche qui tra una festa a casa di amici e una serata in discoteca), VedoZero si caratterizza progressivamente come la dimostrazione quasi scientifica della mutazione genetica avvenuta all’interno dei moduli del linguaggio delle ultime generazioni, abituate a quanto pare a comunicare inconsapevolmente ed istintivamente ad un livello di elaborazione visiva che rimugina senza soluzione di continuità sedimentazioni di stimoli lasciate ad attecchire sottotraccia subito dietro il primo strato degli occhi.
Questi ragazzi girano già come se il cinema appartenesse alla naturalezza del proprio guardare (il paradosso utopico delle nuove tecnologie video?), s’inventano carrelli sugli skateboard e sulle giostre, s’intervistano tra di loro come fossero reporter d’assalto, capiscono quando guardare in camera e quando dire le battute. Vivono la propria sceneggiatura in famiglia e con gli amici.
La sensazione è simile a quella che ti prende alcune volte imbattendoti nelle riprese su youtube di qualche bravata in classe, spezzoni di deliri in gita scolastica, piccole invenzioni per far passare la serata – e ti sembra di scorgere per un attimo un fotogramma alla Van Sant, un istante alla Dardenne… le immagini creano il mondo anche mentre non le guardiamo, o è guardando in camera ormai l’unica nostra possibilità di essere (nel) mondo? Il riferimento più prossimo a VedoZero è dunque ragionevolmente 15 di Royston Tan (per inciso, cerca di seguire una linea piuttosto simile anche Federico Moccia nel suo Amore 14, in questi giorni in programmazione sui canali sky, film anche interessante come estremo esperimento di pura illustrazione pop-up della pagina bianco-pastello mocciana, ma che travisa invece totalmente il linguaggio contemporaneo credendolo ancora legato alla forma-videoclip che ai giorni nostri appare già sin troppo classica…).
Nella sua esplicitata e sottolineata ragione didattica, VedoZero riesce comunque a piazzare un frammento illuminante, col ragazzetto ubriaco che salta, si sbraccia e si strofina per terra ad una festa urlando ripetutamente il compito assegnatogli presumibilmente da Caccia: “Devo narrare una storia! Devo narrare una storia! Devo narrare una storia!” In una manciata di secondi, l’abissale dramma del cinema italiano incarnato dall’urlo disperato di un diciottenne, ripreso di straforo da un videofonino sghembo e fuori fuoco.

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    Un commento

    • il frammento sindrome di tourette del ragazzetto è agghiacciante, mi viene voglia di vedere vedozero soprattutto per questo