DOCUSFERA #3 – Cinema come azione collettiva. Incontro con Giulia D’Amato e Marco Borromei

Lo scorso 25 novembre, alla rassegna Docusfera 2023, dopo le proiezioni di “Maledetta rabbia” e “Un giorno d’amore” è seguito l’incontro con la regista e lo sceneggiatore. Ecco com’è andata

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Il 25 novembre presso Sentieri Selvaggi il pubblico ha incontrato la regista di Maledetta rabbia e Un altro giorno d’amore, Giulia D’Amato, e lo sceneggiatore Marco Borromei in occasione della rassegna Docusfera. Le forme del documentario italiano, realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione generale cinema e audiovisivo – Ministero della Cultura.

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Un altro giorno d’amore si trova dentro una serie di narrazioni che si incrociano (tu, la tua famiglia e le dinamiche generazionali), come nasce il film e com’è stato strutturato?” è la domanda che viene posta alla regista dopo la proiezione del film in sala. D’Amato, risponde: “Eravamo seduti sulle panchine del Centro Sperimentale insieme a degli studenti di sceneggiatura e abbiamo pensato di voler raccontare questa mia storia personale e dunque non è un caso che ci sia io, mio padre e la storia del mio fidanzato dell’età adolescenziale che faceva parte del gruppo ultras. Ciò mi ha aperto nuovi mondi e portato a scoprire ambienti per me sconosciuti nonostante mio padre sia sempre stato un attivista politico”. La storia personale del film si intreccia a quella di altri personaggi creando una storia collettiva; infatti, D’Amato dichiara: “C’è la mia storia, quella di Davide Rosci e quella di Edoardo Parodi ed è come se avessi collegato tutti i punti. Decostruendo la mia storia ce ne erano altre, io sono marginale, sono quella che scopre altre storie tramite la gente con cui parlo. Ho conosciuto Davide tramite le lettere che gli inviavo in carcere, poi è arrivata la storia di Edoardo, che mi è rimasta impressa da quando ho 15 anni, quando raccoglievo i materiali del G8 di Genova 2001”.

Un altro giorno d’amore è un film che si costruisce anche intorno alle assenze, il fatto che la regista non era presente in prima persona all’evento tragico del G8 di Genova ne è un esempio. Prende poi parola su questa questione lo sceneggiatore Marco Borromei: “Tutto il film è costellato di cose che viviamo a distanza. La giusta distanza credo ci faccia percepire più una oggettività di quello che è successo e di quello che è il nostro vissuto, per questo ho anche mischiato il documentario con una linea di finzione dove la ragazza è il ricordo dell’adolescenza di Giulia, che è poi anche la chiave necessaria per entrare nella vicenda in maniera più profonda. Quando ci siamo incontrati non sapevo nulla della sua vita e delle tifoserie dello stadio, mi sono messo nei panni dello spettatore e ho cercato di incarnare in quella ragazza, che non sapeva nulla di questo mondo, la passione che è poi il moto della vita e il tema centrale del film”.

Si parla di punk, di politica ma anche di commozione collettiva. Il film, proiettato più volte in diverse città come Teramo e Genova dopo la presentazione al festival di Pesaro ha riscontrato una partecipazione attiva da parte degli spettatori, quella stessa partecipazione che commuove la regista e che chiama “cinema d’azione collettiva”, lei aggiunge: “poco fa ero alla manifestazione contro la violenza sulle donne, e ho ritrovato quella stessa passione di quando ho visto i canti da stadio. In questo film ci sono tante voci ma è un coro unico, mi commuovo quando vedo un corteo, quando sento cantare una canzone, o ancora quando vedo la reazione del pubblico al cinema e mi emoziono”.

A proposito di cinema, nei documentari attuali le storie che si raccontano sono quasi sempre singole, mentre il racconto collettivo è sempre più accantonato. La capacità del film di raccontare una storia collettiva, dove si intrecciano le dinamiche generazionali è difficile da trovare al giorno d’oggi. A riguardo, la regista afferma: “Io sono figlia del racconto collettivo perché per esempio se ci fate caso mio padre nel film non parla mai al singolare ma sempre al plurale ed è in questo modo che voglio fare il mio cinema. Il cinema è il mezzo che utilizzo per fare militanza. Il sistema ti condanna all’invisibilità, ma io non ci sto e lotto per la collettività. E lo faccio senza l’ausilio di piattaforme e puntando verso la diffusione libera. Ogni proiezione di Un altro giorno d’amore è stata per me un atto politico”.

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