DOCUSFERA #3 – I filmmaker nomadi. Incontro con Mattia Colombo e Gianluca Matarrese

Lo scorso 18 novembre, nell’ambito della rassegna Docusfera 2023, è stato proiettato il documentario dei due registi. Ecco cosa ci hanno raccontato in coda alla proiezione

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Lo scorso 18 novembre alla rassegna Docusfera. Le forme del documentario italiano, realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione generale cinema e audiovisivo – Ministero della Cultura, è stato proiettato Il posto dei due registi Mattia Colombo e Gianluca Matarrese. Il film, girato quasi interamente su un autobus, narra un’Italia precaria, soffermandosi soprattutto sugli infermieri alle prese con i concorsi pubblici, in cerca di stabilità economica.

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Al termine della proiezione, i due registi hanno incontrato il pubblico e si sono soffermati innanzitutto sul concetto di distanza, come metafora del viaggio e della ricerca di una “normalità” lontana. Come afferma Mattia Colombo: “il film inizialmente doveva essere girato interamente in autobus, senza scendere mai. Abbiamo fatto degli strappi alla regola come è naturale che sia, soprattutto per il documentario che necessità dell’osservazione della realtà. Siamo partiti all’arrembaggio leggendo un articolo belga di un certo ‘autobus della speranza’, e ci siamo chiesti se a bordo dell’autobus nascono questo tipo di conversazioni. È stato faticoso girare il film, l’idea era di condurre anche gli spettatori a bordo di quel bus”. Gianluca Matarrese, dal canto suo, approfondisce la questione: “Anche dal punto di vista formale la distanza è fondamentale, perché rimaniamo ad altezza dei personaggi anche nel modo di filmare. Siamo molto vicini, quasi conversassimo con loro. Poi, fuori dall’autobus, c’è una distanza diversi: questi personaggi per noi sono un po’ come dei pesci che, usciti dall’acquario e arrivati nell’oceano, si perdono, in una dimensione disumanizzata quasi alla Fritz Lang. In questo senso la distanza assume una connotazione grafica. Poi c’è la questione distanza come contenuto. Io personalmente ho un legame ossessivo verso questo tema, perché in molti miei film c’è un trasloco. Qua il trasloco non c’è, ma queste persone dovranno andarsene, dovranno tagliare le loro radici. Sono come protagonisti di un road movie circolare. Un viaggio che l’eroe compie per scoprire nuovi mondi”.

In questo film si passa dai racconti intimi a storie eterogenee. A tal riguardo, Mattia Colombo commenta: “L’eterogeneità è stata costruita in montaggio. Nonostante le idee chiare durante le riprese. Ma in quella fase, ci siamo imbattuti anche in troupe giornalistiche e abbiamo potuto constatare i diversi approcci, i diversi modi di girare. È importante segnalare le differenze di approccio, noi non cerchiamo sensazionalismo ma cerchiamo di dare voce e dignità alle persone che incontriamo. Il film nato dall’incontro tra me e Gianluca è una combinazione di ciò che sentiamo, poi nel montaggio subentra l’eterogeneità”.

In Il posto gli spazi utilizzati sono volutamente claustrofobici, sottolinea Colombo, e il poco tempo a disposizione rende complicato andare a creare dei contatti con i personaggi: “Stabilire una relazione con le persone che si vanno a filmare è una questione etica e bisogna stabilire dei limiti. Non si tratta di spiare. In questo film è stato più difficile, perché di solito siamo abituati ad avere a disposizione tanto tempo da dedicare a un solo personaggio, mentre qua a bordo ci sono stati più incontri”. Gianluca Matarrese aggiunge: “Serve fiducia ed empatia ma in due è più facile. Avevamo poco tempo per identificare i personaggi giusti (quelli disponibili, quelli che si esprimono bene senza il bisogno di forzare nulla). Ci siamo messi a livello di tutti, abbiamo fatto capire che eravamo veramente interessati alle loro vicende poiché ci muove un sentimento di estrema vicinanza, pur non essendo noi infermieri”.

Proprio questo sentimento di vicinanza diventa un nodo centrale del film. I due registi tengono a sottolineare come anche il loro sia un mestiere costantemente instabile, che poggia su un sistema economico debole. L’importante è non far mai venir meno la creatività, far appello all’arte dell’arrangiarsi. Come afferma Matarrese: “c’è una instabilità costante, molto simile a quella che vivono i concorsisti. Siamo filmmaker nomadi proprio come gli infermieri, però abbiamo una creatività e non dobbiamo fermarci. Se abbiamo la possibilità di incontrare nel nostro cammino produttori e persone che credono in noi allora si può continuare a lavorare”. E Mattia Colombo aggiunge: “Io ho un punto di vista diverso a quello di Gianluca, perché, a differenza sua, ho sempre lavorato in Italia. Quando ho iniziato, avevo l’obiettivo di fare un film e arrivare in fondo. Per il secondo film, volevo ottenere dei finanziamenti, per il terzo, l’obiettivo era di realizzare un film che potesse partecipare ai festival. L’ho vista come una possibilità di andare più avanti, sebbene sia un sistema complesso. Lavorando ho scoperto diverse realtà come i workshop, i finanziamenti… Poi si torna sempre al punto di partenza e ricomincia da capo la trafila. Saremo sempre come pesci dentro l’acquario, ma serve volontà, proprio come accade ai concorsisti che abbiamo mostrato”. 

L’incontro si sofferma così sull’elemento dell’irrequietezza, sul non trovare mai posto e la nostalgia di casa che attanaglia le persone costrette a lavorare lontano dalla terra natia. Il film, nonostante la claustrofobia, ha una sua ariosità, una capacità di lavorare sulla stratificazione e la liberazione dell’immagine anche negli spazi ristretti di un autobus, ma resta anche un’amarezza di fondo, generazionale. Ed è Colombo a concludere sul punto: “Cos’è la casa? La famiglia, il posto dove ti è stato dato qualcosa? Io personalmente sono scappato dalla mia realtà, un piccolo paesino che mi stava stretto, per poi tornarci e fare pace con quell’idea di casa che pensavo non mi appartenesse. Girando il documentario ho scoperto altre visioni di casa, ho incontrato molti altri ragazzi che hanno questo desiderio di stare vicino casa (soprattutto vicino al mare) ed è bello questo attaccamento sano verso il luogo e le proprie origini“.

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