DVD – "Mon Oncle d'Amerique", di Alain Resnais

cover dvdNel laboratorio di Alain Resnais, le strategie di sopravvivenza di tre sonnambuli costretti quasi per ipnosi al soffocamento di bisogni e aspirazioni, mentre la macchina sociale ne fabbrica instancabilmente di sostitutivi, indirizzando e dirigendo proprio l’energia più luminosa – il desiderio – verso un percorso prestabilito. Per San Paolo.
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cover dvdAnno: 1980
Durata: 125’
Distribuzione: San Paolo/Fox Home Video
Interpreti: Gérard Depardieu, Nicole Garcia, Roger Pierre, Marie Dubois, Pierre Arditi
Regia: Alain Resnais
Formato DVD/video: 1.33:1
Regione: PAL Regione 2
Audio: Italiano 2.0 mono,Francese 2.0 mono
Sottotitoli: Italiano, italiano per non udenti
Extra: Trailer originale
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 IL FILM

Mon Oncle d’ Amerique è più che un documentario, più che una parodia di un documentario, e molto di più che una commedia o di un dramma che si esprimono con il linguaggio peculiare del documentario, così come la specie umana è assai più complessa che il mero incontro di raziocinio ed emozione. Resnais affronta il repertorio delle pulsioni, degli appetiti, della memoria, temi a lui cari, attraverso le strategie di sopravvivenza dei topi da laboratorio e di tre casi clinici proprio perché comuni – Jean, Janine e René – rispettivamente, intellettuale con aspirazioni di politico e di romanziere, figlia di operai e attrice mancata e solido contadino cattolico catturato dall’industria tessile – non tanto commentate dalla voce off dellEsperimenti

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uomo di scienza, Laborit, quanto illustrate da una regia che gioca ai limiti della forma didascalica senza cadere nel didascalismo: nessuno dei gesti delle tre “marionette umane” viene trascurato dal punto di vista biologico, filosofico e sociologico, eppure in ciascuno di quei gesti resta una formula oscura e vagamente familiare, che riconosciamo, ma non possiamo spiegare: come in Janine, che in preda all’angoscia per il proprio futuro e per l’assenza di Jean, ferma la macchina in aperta campagna e si stende a terra, alla ricerca di un impossibile contatto con l’universo fisico che la circonda. La disperazione dei tre personaggi viene osservata senza condanna o soddisfazione: solo, con una forma di ironia perfino affettuosa, dove ad ogni passo inciampiamo nelle loro manovre destinate a fallire, avviluppate come sono nella materia aerea eppure precisa delle loro fantasie, incarnate dagli spezzoni di celebri film, che sottolineano in forma teatrale gli stati d’animo. Nell’uso di questi simboli dell’immaginario collettivo (nella biografia di ciascuno dei tre si specifica anche quali sono diventate col tempo le loro passioni artistiche e culturali) c’è ben più che un divertimento citazionistico: se lo sguardo di Jean, Janine e Renè nell’infanzia, nella fase della formazione della coscienza, viene già indirizzato e guidato da un sistema chiuso verso un modello (non vi è nessuna esaltazione di un ritorno a un inverosimile stato di innocenza) più tardi, sviluppando una serie di automatismi soggettivi in un processo di adattamento sempre più crudele e sempre meno consapevole, le loro identità finiscono per assorbire una struttura ricavata dal romanzesco iconico dei vecchi film in bianco e nero: soltanto attraverso la cartolina di un marinaio in difficoltà in mezzo a una tempesta possono visualizzare la propria angoscia, ed essi stessi finiscono per assomigliare a icone, ritagliate da un preciso modello culturale. Resnais – con Laborit – sembra scettico di fronte alla possibilità che possiamo riconoscerci un’identità all’interno di un sistema: il film illustra soltanto l’irriducibile meccanismo contrario. E’ il “tirocinio culturale” a sottoporci alla necessità di conservare un potere in una situazione sempre gerarchica, anche nell’amore, ed è soprattutto di fronte alle dinamiche di coppia, al tentativo di procurarsi continuamente un alibi sotto forma di linguaggio, che si svela in tutta la sua ipocrisia e debolezza. "La sola ragione di esistere di un essere è la sua esistenza; cioè di mantenere la sua struttura. E quindi di mantenersi in vita. Senza di che non ci sarebbe l'essere. " si afferma subito. Ma in realtà è il gruppo sociale a reclamare ferocemente e a costo di molte vittime la propria sopravvivenza, non l’individuo con le sue necessità. La struttura del film riproduce la struttura stessa dell’essere umano, per il quale, unico tra gli animali, le necessità fondamentali diventano quelle create dall’ambiente sociale, e il cui corpo diventa il teatro per eccellenza delle cosiddette patologie della civiltà: debolezza, insonnia, malessere, dipendenze, depressione. E ancora malattia, dolore, suicidio o follia, dove quest’ultima appare quasi un esito biologico inevitabile della frustrazione. I nostri comportamenti sono informati dalla lama della memoria e dalla ghigliottina della ripetizione: consumo; lotta o fuga; inibizione; ricompense, o punizioni – Jean, Janine e Renè ne ricevono secondo il grado in cui si conformano alla sopravvivenza di un gruppo estraneo, ostile e senza volto: una sociocultura cannibale, che finisce per ingoiare anche i più piccoli spasimi di piacere personale. Non è l’inconscio freudiano a distruggerli, non il rimosso, il proibito, non l’aggressività; ma al contrario, ciò che viene autorizzato, legittimato e presto radicato da un sistema sociale contenitivo, che considera ogni mutamento blasfemo. Per quanto assuma talvolta i toni della commedia, Mon Oncle d’Amerique è un film amaro. Resnais osserva tre campioni soltanto perché non può seguirne mille: ma la sostanza dell’illusione è ampiamente democratica, e riguarda tutti. L’isola che Jean rappresenta continuamente a se stesso come il paradiso della sua infanzia in cui si ritrovano gli amanti perduti è in fondo un inganno dei sensi, un po’ come l’isola metafisica, sempre presente e sempre perduta, l’ologramma dell’Invenzione di Morel: è il luogo leggendario a cui tutti aspiriamo, che resta per sempre di proprietà soltanto dello zio d’america, è il tassello immediatamente mancante nel mosaico, è il trompe l'oeil per eccellenza, come nell’immagine finale del film, una impossibile foresta dipinta sulla facciata di un palazzo di quartiere, fuga che ci schernisce con il suo volto definitivamente irraggiungibile se non ne riconosciamo l’idealizzazione. 

 

IL DVD

 La fuga impossibileParziale delusione per un’edizione decisamente povera di extra, in un caso in cui non mancavano certo le possibilità di inserire materiale e documentazione varia audio e video (è presente soltanto il trailer originale del film, mentre nell’edizione francese del 2003 si contano ad esempio un intervento di Serge Toubiana, il commento delle scene e tre lunghe interviste ad Alain Resnais, allo sceneggiatore Jean Gruault e a Nicole Garcia). La traccia video restituisce la fotografia eccellente di Sacha Vierny in immagini terse e luminose, ma il lavoro pecca gravemente soprattutto nella traccia audio italiana, in cui le voci dei protagonisti e la colonna sonora sono sacrificate a un suono confuso e leggermente distorto, dal tipico aspetto “metallico” comune a molti doppiaggi datati, mentre nella traccia originale, benché sia ugualmente in 2.0 mono, il risultato è pulito e convincente.

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