"Ho bisogno degli incidenti della vita reale per dar corpo alla mia visione del film". Incontro con il regista Jafar Panahi.

L'Iran che si autocensura e che spopola in Europa. Jafar Panahi con "Oro Rosso" (quarto lungometraggio) ha trovato i soliti consensi di critica celebranti un "genere" ormai assai riconoscibile. Da discepolo di Kiarostami, oggi è conteso in ogni parte del mondo, tranne che nel suo Paese.

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Quanto è difficile ancora girare film in Iran?

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È ancora molto difficile essere indipendenti. Mi sforzo di rimanere tale e continuare a fare film che mi piace fare. L'indipendenza ha un prezzo da pagare che io ho pagato e spero di poter continuare a pagare se le cose non dovessero cambiare in meglio nell'immediato futuro. Il prezzo da pagare è soprattutto non ottenere le autorizzazioni per mostrare il proprio film. Per esempio sia Il Cerchio che Oro Rosso non sono usciti in Iran. Per un regista non poter mostrare il film nel suo Paese è come non aver fatto il film. Ci si sente isolati, soprattutto se si fanno film sul sociale.


 


Ma in Iran che cinema si vede?  


Il cinema che passa in Iran copre diversi generi. Dei circa settanta film che si producono all'anno, il 90% è sull'amore, d'azione, familiare. Molti di livello bassissimo. Solo 4 o 5 film godono di rispettabilità. Io però sono dell'opinione che tutti i tipi di film devono avere accesso alle sale. Spetta allo spettatore decidere. Purtroppo in Iran sono in pochi a decidere e scegliere quali film vanno visti. Questa censura però serve a poco. Il Cerchio, infatti, grazie al DVD e alle reti satellitari è stato visto comunque in Iran, nonostante anche il Festival di Teheran si fosse opposto alla proiezione all'interno della manifestazione.


 


Com'è riuscito ad arrivare a Cannes con Oro Rosso?


Quando sono andato a Parigi per curare il montaggio del film ho lasciato una copia in Europa. Nel momento in cui il Ministero dell'Informazione iraniano (che è in realtà costituito dai Servizi Segreti) mi ha ordinato dei tagli se volevo ottenere l'autorizzazione ad uscire in Iran, mi sono naturalmente rifiutato perchè sapevo di poter contare sulla copia che avevo lasciato a Parigi. Per Il Cerchio sono state autorizzate proiezioni private, mentre per il mio ultimo film, per adesso neanche quelle. Sono sicuro però che nessuna censura può ingabbiare il cinema a vita. L'importante è provare a fare film che non abbiano date di scadenza. La cosa che più mi rattrista è constatare che con i riformisti al governo paradossalmente le cose sono diventate più difficili. Un giorno li ho minacciati che mi sarei chiuso in una stanza con un attore e avrei girato un film più pericoloso per loro. Fortunatamente nessun regista è andato ancora in prigione: se hai il supporto del pubblico è difficile che si possano subire repressioni estreme.


 


Perchè questo titolo al film?   

Oro è la ricchezza smisurata e rosso è il sangue. Due estremi che si annullano. Abbas Kiarostami mi aveva raccontato un fatto di cronaca mentre eravamo in macchina bloccati dal traffico nel centro della città. Durante una rapina ad una gioielleria, un ladro era rimasto bloccato all'interno per via dell'allarme, e a quel punto aveva ucciso il proprietario prima di suicidarsi. Quella storia mi aveva ossessionato. Mi sono interrogato mille volte sui motivi che possono spingere un essere umano a compiere gesti così estremi. Abbas ha scritto la sceneggiatura partendo dalla mia idea di far cominciare il film proprio da una situazione d'impasse e procedendo poi a ritroso nella storia.

Che rapporto hai con la politica del tuo Paese?


La politica in quanto tale non m'interessa, mentre le conseguenze degli errori della politica sulla vita della gente sono indubbiamente la materia principale dei miei film. Essendo poi un cittadino, è naturale che le mie storie siano ambientate nelle grandi città. Come succede in tutto il mondo, anche in Iran la classe media tende a scomparire e così le ricchezze ed il potere si concentrano nelle mani di una sparuta minoranza mentre all'altro estremo, dove la stragrande maggioranza della popolazione, non troviamo che miseria e umiliazione. Hussein consegna pizze a domicilio nei quartieri ricchi della capitale. Questo espediente mi ha permesso di aprire uno spiraglio sugli spazi interni, che generalmente sono al riparo dagli sguardi esterni e quindi liberi da regole sociali. Non ho mai voluto filmare le donne velate a casa loro, perchè queste immagini non corrispondono alla realtà ma ad una rappresentazione imposta. Per questo ho deciso di utilizzare immagini sfocate od ombre cinesi per superare questo divieto.


 


Che cosa chiede al suo pubblico?


Innanzitutto devo dire che lo spettatore più importante è la mia coscienza. Però al pubblico chiedo sempre di mettersi a riflettere. In tutti i miei film racconto la storia, gli avvenimenti, senza nessun preconcetto. Non voglio trasmettere un messaggio imposto, ma continuo a cercare. È per questo che rifiuto i facili entusiasmi, che mi allontanerebbero dalla complessità dei personaggi e delle situazioni. Vado avanti tentoni per avvicinarmi il più possibile alla verità che propongo. E poi è compito dello spettatore riflettere ed interpretare.


 


C'è un metodo di lavoro che preferisce seguire?


Quando studiavo cinema realizzavo almeno dieci "storyboard" diversi per ogni inquadratura, ma poi lavorando mi sono reso conto che la fase più importante è quella delle riprese, perchè è lì che succede tutto. La preparazione, l'organizzazione sono fondamentali, lo riconosco, ma io ho bisogno degli "incidenti" della vita reale per dar corpo alla mia visione del film. Sono i personaggi a dettare le mie scelte, che possono cambiare fino all'ultimo minuto. Sono convinto che nei film come i miei, avere degli attori famosi uccida la verosimiglianza, e per questo lavoro quasi esclusivamente con attori non professionisti. Tuttavia, dirigere questi attori richiede molto lavoro. È illusorio pensare che questi "non-attori" siano già i personaggi. Io li scelgo solo considerando la loro somiglianza fisica con il personaggio che ho in mente, dopodichè devo fare in modo che il personaggio s'insinui in questa sorta d'involucro.


 


Quali scene le avevano chiesto di tagliare dal Ministero, nel suo ultimo lavoro?


La scena delle feste nelle case dell'alta borghesia. Ma soprattutto la scena in cui si parla di una nota marca di sigarette, le "57". I protagonisti ad un certo punto dicono che quelle sigarette sono troppo "forti". Il numero che da il nome al prodotto allude l'anno della rivoluzione in Iran…


 


 

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