I registi di Everything Everywhere All at Once intervistati da Edgar Wright

Edgar Wright su Sight & Sound intervista i The Daniels, i due registi premio Oscar per EEAO. Ne viene fuori un’intensa discussione sul cinema, il multiverso e l’esistenza intera come vero villain…

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In una combo potente che probabilmente getta vicendevolmente luce su due tipi di cinema dichiaratamente comunicanti, recentemente per la celebre rivista inglese Sight & Sound Edgar Wright, il regista di Baby Driver – Il genio della fuga, ha intervistato (QUI l’intervista completa in inglese) Daniel Kwan e Daniel Scheinert, premiati di recente dagli Oscar 2023 per il loro Everything Everywhere All at Once. Come oramai ampiamente noto, il duo statunitense ha esordito nel mondo del cinema con Swiss Army Man (2016) che non ebbe un grande successo da parte del pubblico che invece arriva, a discapito di una manciata di film bellissimi, con la loro seconda pellicola vincitrice di ben 7 Oscar.

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Nell’intervista Edgar Wright esordisce in maniera abbastanza prevedibile dicendo ai due registi che ha amato il loro film perché non è stato banale come spesso accade nei film dei supereroi. Nella sua risposta Daniel Scheinert cita da subito, e non caso, la Disney, la casa di produzione che ha inglobato la Marvel a cui si devono i primi film sul multiverso come Doctor strange nel multiverso della follia, di Sam Raimi o Spider-Man: No Way Home, di Jon Watts aprendo difatti il cinema popolare agli infiniti universi e alle altre dimensioni.

“È divertente che tu lo dica – continua il regista nella sua replica. – Recentemente ho visto un tweet che mi ha fatto ridere, in cui una persona ha scritto: “[In] le storie Disney della mia infanzia, i cattivi erano tutte streghe malvagie. Nelle storie Disney di oggi, i cattivi sono i miei genitori deludenti“. Penso che questo segni un cambiamento nel nostro mito culturale di ciò che consideriamo essere il male. Le streghe malvagie sono questa “altra” cosa mistica che non potremo mai comprendere appieno. Deludere i genitori che ci causano traumi generazionali – che poi si riversano nel resto della nostra vita – è un modo più onesto e sfumato di guardare al male. Molto presto sapevamo che non ci sarebbe stato un cattivo in questo film. Il cattivo è l’esistenza stessa. L’universo freddo e indifferente. La cattiva comunicazione diventa quasi il cattivo” – dichiarano i due cineasti.

La seconda domanda importante posta da Wright è quella sul cinema massimalista, un movimento artistico che celebra proprio l’eccesso dicendo di fare ogni film come se fosse l’ultimo o che l’industria possa morire da un momento all’altro. La risposta dei due registi è stata molto interessante: il duo racconta che ha cominciato a fare carriera nel mondo del cinema grazie ai video musicali ma che in quel periodo non si sentivano abbastanza per il cinema. Fu con il loro primo film che si accorsero che: “Oh, questa scatola è davvero grande! Quanto posso metterci?” Perché come hai detto tu, potremmo morire o qualcuno potrebbe scoprire che in realtà non siamo bravi a dirigere e ci toglieranno le chiavi. Quindi questo film, in un certo senso, era come, “E se non ci fosse una scatola?” – che è davvero così stupido. È stata una pessima idea. È un brutto cinema. Il cinema riguarda molto i limiti, l’essenziale è il capire cosa stai veramente cercando di fare – ha concluso Daniel Kwan.

Per quanto riguarda il metodo di lavorazione vero e proprio, Wright fa una domanda su come gestire l’imprevisto che può succedere in qualsiasi momento. Daniel Kwan risponde in maniera abbastanza irriverente che bisogna dire bugie alla troupe, ad esempio che li manderanno via due ore prima cosi si muoveranno più velocemente ed argomentando ulteriormente che una crisi può distruggere un progetto o migliorarlo. Uno degli ultimi quesiti è proprio sul loro ultimo film che porta il tema sul divario generazionale, ma parla anche dell’attuale stato della tecnologia.

A questa domanda la risposta di Daniel Scheinert è stata rivelatrice: ”Ieri mi sono reso conto che non diciamo mai nulla di Internet [nel film]. Non puntiamo davvero il telefono di nessuno. Nessuno sta guardando i social media. Ma il film è totalmente una reazione a questo. Jobu / Joy è come un personaggio cresciuto su Internet che sta lottando per essere capito da sua madre, che non è cresciuta su Internet. Non voglio parlarvi delle chat room in cui sono entrato quando avevo dieci anni, ma è stato strano. È cambiato tutto negli ultimi anni per quanto siamo sovra stimolati e distratti”.

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