I sentimenti "a spasso nel tempo"

La 10° edizione di "Schermi d'amore", tenutosi a Verona dal 24 marzo al 2 aprile, ha reso omaggio, quest'anno, all'esplorazione del cinema sentimentale di Carlo ed Enrico Vanzina, con alcuni dei loro film più significativi, tra cui "Luna di miele in tre" la loro opera prima diretta nel 1976.

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Ci è sempre piaciuto un cinema che sapesse essere "ospitale", costruito come dimora per uno sguardo senza tetto; uno sguardo privo di direttive e di prospettive rassicuranti e, ad un tempo, consapevole della mutabilità e mutevolezza di ogni cosa. Ma anche un cinema che non avesse da offrire nulla di concreto e di univoco e, pertanto, capace di distruggere le consunte immagini di un troppo ottimistico mondo dell'ordine, e di lasciare il nostro sguardo allo scoperto, esposto, privandolo di ogni dimora. Un cinema capace di riflettere, in sfaccettature sempre più sfuggenti, l'esilio di uno sguardo alla continua ricerca di un approdo. Carlo ed Enrico Vanzina, protagonisti della 10° edizione di "Schermi d'amore" che ha reso loro un omaggio per festeggiare i 30 anni di attività,   hanno saputo creare un mondo dominato da continui capovolgimenti di prospettive, un mondo/cinema nomade, una tenda di circo(i)larità comica sotto la quale, invece di essere artisti perplessi, poter giocare a fare i pagliacci (come dimenticare le figure del clown, inteso come villano arguto, incarnate, per loro, da Diego Abatantuono). Ma il loro cinema ha saputo arricchirsi, nel tempo, di striature dolenti e malinconiche, di delicate accensioni mélo e sentimentali con cui hanno raccontato i gesti, le parole, i trasalimenti interiori e l'amore, un flusso (temporale) di stati emotivi, prolungati gli uni negli altri; una fuga continua, nello scorrere del tempo, di istanti e mo(vi)menti, ritessuti a partire da incontri (che si vogliono) sempre nuovi, o (ri)vissuti con un forte senso di nostalgia. I Vanzina, con il loro cinema, hanno seguito i sentimenti "a spasso nel tempo"; una disseminazione che già traspariva nel gioco di equivoci, che si nascondeva nel desiderio di una fuga (d'amore) a tre, quella tentata da Alfredo in Luna di miele in tre (1976); o dalle venature nostalgiche che screziavano il ritratto di gioventù al mare nell'anno 1964 in Sapore di mare (1982); o, ancora, in Amarsi un po'… (1984), dove l'amore tra Marco, un meccanico di Testaccio, e Cristiana, una principessa romana, si costruiva come in un gioco fatto di innocenti bugie, di fughe e di ritorni. In film più recenti come Il cielo in una stanza (1999) è stato l'amore stesso per il cinema, come fuga nel/dal tempo, a ordinare il caos dei sentimenti in un ingegnoso balletto metaforico, che ha permesso il gioco della trasposizione nel tempo (in esso il protagonista Marco si ritrova negli anni Sessanta al fianco del suo futuro genitore). Un cinema in cui i sentimenti e le emozioni hanno saputo farsi segno del desiderio apprensivo di uno sguardo sempre vicino ai suoi personaggi. Così nel ritratto, corale e personale, di quattro giovani donne con destini e ambizioni diverse in Quello che le ragazze non dicono (2000) o nella commedia sentimentale e amara Il pranzo della domenica (2003), ritratto di tensioni collettive e nevrosi personali di un altro "gruppo di famiglia in un interno" o in quel momentaneo godimento del piacere volto a fugare l'ombra della malattia e della morte in South Kensington (2001). Siamo di fronte ad un cinema al quale e nel quale poter confidare il (dis)incanto di una bugia teneramente detta, ossessivamente ripetuta, dolorosamente elaborata; una bugia che si adagia nel cuore complice di chi sa e in quello ignaro di chi ne è all'oscuro. Due cuori affascinati e illusi dalla fuga dell'amore e del cinema, nell'amore per il cinema.

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