Interstellar, di Christopher Nolan
Probabilmente Interstellar è il primo film del regista dove il conflitto tra sentimento e ragione viene giocato quasi ad armi pari. Ma è una battaglia dove si continuano a contare trappole, formule numeriche, equazioni e soprattutto una sfiancante fatica nello sguardo. Con l’impalcatura che non arriva mai a una trascendenza visionaria fuori controllo
Ambizioso, atteso, smisurato (169’). In questo ultimo Interstellar Nolan mette sul piatto tantissimi elementi: il destino dell’umanità, l’apocalisse imminente, il senso di sopravvivenza, la famiglia, il viaggio nello spazio come esperienza filosofica dentro noi stessi, la definizione e raffigurazione di nuovi mondi. La fantascienza autoriale degli anni ’60 e ’70 è dietro l’angolo, pronta a essere inseguita come un orizzonte nel buio di una filmografia più convenzionale di quanto la fama del suo creatore lasci intendere. C’è un po’ di Tarkovskij, c’è ovviamente tanto Kubrick – della cui Odissea nello spazio Nolan replica diverse immagini rivitalizzandole nell’estensione Imax ma divertendosi allo stesso tempo ad alternarne alcuni principi (a differenza di Hal 9000 qui non sono le macchine a impazzire bensì gli umani) – ma sul rapporto padre-figlia c’è anche un debito enorme nei confronti del bellissimo Contact di Robert Zemeckis. In un futuro prossimo che ha la parvenza quasi di un
presente parallelo, la Terra sta morendo. Tempeste di sabbia affliggono i centri urbani, non esistono più eserciti né governi. Manca il cibo e all’umanità servono agricoltori come Cooper (Matthew McConaughey), un ingegnere di talento vedovo, un tempo pilota aerospaziale costretto a sacrificare la sua passione per lavorare i campi e dare una disperata speranza ai suoi due figli. Quando le scorte rischiano di finire, spetterà a lui a ad altri astronauti, tra cui la dott.ssa Brand (Anne Hathaway) il compito di spingersi oltre i confini della galassia per cercare nuovi pianeti dove abitare.
Con Nolan siamo sempre a un punto morto e Interstellar rischia di chiudere anche stavolta l’immagine dentro architetture asfissianti e cerebrali. E dire che stavolta il regista inglese prova quasi a sorprenderci. Almeno per una prima metà sembra prendersi i suoi momenti privati e raggiungere un suo centro emotivo. Ecco che il regista di Inception anziché tagliare e raffreddare i toni sembra provare ad allungare le scene fino a un punto di rottura capace di disegnare un’anima (intenso l’addio di Cooper alla figlia, ma è bella anche la scena in astronave tra lui e Brand sulla scelta da fare per continuare la missione: seguire il cuore o la scienza? È il centro nevralgico di tutto il film). Con sorpresa la parola “amore” comincia a entrare nel vocabolario nolaniano. Eppure sono tentativi timidi, che la cronica inclinazione al meccanismo e al bluff finiscono con l’annientare. Vittima di se stesso, Nolan a un certo punto sceglie la scienza. Per lui ricondurre ogni racconto a un teorema è una tentazione troppo grande ed è quasi ineluttabile ritornare una volta ancora ai soliti incartamenti spazio-temporali. Probabilmente Interstellar è il primo film nolaniano dove il conflitto tra sentimento e ragione viene giocato quasi ad armi pari. Ma è una battaglia dove si continuano a contare trappole, formule numeriche, equazioni e soprattutto una sfiancante fatica nello sguardo. Tutta l’impalcatura visiva non arriva mai a una trascendenza visionaria fuori controllo. Si impone una logica allo stupore – come già accadeva in modo probabilmente più fallimentare al mondo dei sogni di Inception – e viene così tolta ogni parvenza di imprevisto al destino del film e a quello di noi spettatori. E così dopo tanta saturazione e complessità si rimane a distanza senza ricordi validi. È (quasi) niente.
Con Nolan siamo sempre a un punto morto e Interstellar rischia di chiudere anche stavolta l’immagine dentro architetture asfissianti e cerebrali. E dire che stavolta il regista inglese prova quasi a sorprenderci. Almeno per una prima metà sembra prendersi i suoi momenti privati e raggiungere un suo centro emotivo. Ecco che il regista di Inception anziché tagliare e raffreddare i toni sembra provare ad allungare le scene fino a un punto di rottura capace di disegnare un’anima (intenso l’addio di Cooper alla figlia, ma è bella anche la scena in astronave tra lui e Brand sulla scelta da fare per continuare la missione: seguire il cuore o la scienza? È il centro nevralgico di tutto il film). Con sorpresa la parola “amore” comincia a entrare nel vocabolario nolaniano. Eppure sono tentativi timidi, che la cronica inclinazione al meccanismo e al bluff finiscono con l’annientare. Vittima di se stesso, Nolan a un certo punto sceglie la scienza. Per lui ricondurre ogni racconto a un teorema è una tentazione troppo grande ed è quasi ineluttabile ritornare una volta ancora ai soliti incartamenti spazio-temporali. Probabilmente Interstellar è il primo film nolaniano dove il conflitto tra sentimento e ragione viene giocato quasi ad armi pari. Ma è una battaglia dove si continuano a contare trappole, formule numeriche, equazioni e soprattutto una sfiancante fatica nello sguardo. Tutta l’impalcatura visiva non arriva mai a una trascendenza visionaria fuori controllo. Si impone una logica allo stupore – come già accadeva in modo probabilmente più fallimentare al mondo dei sogni di Inception – e viene così tolta ogni parvenza di imprevisto al destino del film e a quello di noi spettatori. E così dopo tanta saturazione e complessità si rimane a distanza senza ricordi validi. È (quasi) niente.
Titolo originale: id.
Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Matt Damon, Bill Irwin, Wes Bentley, Casey Affleck, Michael Caine, Ellen Burstyn, Topher Grace, John Lithgow
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 169′
Origine: Usa/Uk 2014