Io, il tubo e le pizze, di Ugo Gregoretti

Il film postumo del regista, girato e montato nel 2017, è un modo per riscoprire la sua passione per cinema e tv e la capacità di raccontare un’Italia sommersa e inattesa. Storia del Cinema

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Per i più giovani va ricordata la figura di Ugo Gregoretti, autore e regista particolarmente originale, portatore di una sana quanto efficace ironia con la quale conferiva un altrettanto autentico e particolare carattere alle proprie produzioni. Ha spaziato con assoluta eleganza dal cinema alla televisione, o forse meglio il contrario, e utilizzato il mezzo televisivo soprattutto, ma vedremo anche il cinema, come uno strumento di scandaglio, a metà tra il periscopio e il microscopio, per offrire un profilo di una italianità sommersa, ma vera e quotidiana, mai finta e mai ipocrita. Un lavoro che viene da assimilare, per l’effetto che produceva e per i fini per i quali veniva realizzato, a quello così vicino di Nanni Loy, che apparteneva alla sua stessa generazione e stagione di autori. Uno stampo che oggi non esiste più e che ha segnato le stagioni più intensamente ricche, anche di emozioni, del mezzo televisivo.
Ugo Gregoretti è stato anche uno straordinario regista che ha lavorato sempre dentro uno specifico percorso già sperimentato con la televisione e che trasportava al cinema con la stessa sagacia anche politica con la quale confezionava i suoi lavori televisivi. Tra le sue tante incursioni nel cinema ci piace ricordare due film anomali Apollon, una cronaca serrata dell’occupazione di una fabbrica romana negli anni ’60 e Contratto, il racconto del contratto dei metalmeccanici nel 1969, l’anno dell’autunno caldo.

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Con il titolo di questo film postumo – il regista sarebbe scomparso nel luglio del 2019 – montato nel 2017 Io, il tubo e le pizze Gregoretti, condensava le sue passioni artistiche: la televisione con il tubo catodico delle vecchie TV e il cinema con la pizza, la scatola di latta dentro la quale veniva avvolta la pellicola per il trasporto. Gregoretti, già molto anziano, ma vivace e spiritoso come sempre, accompagnato dal figlio Filippo e dalla nuora Tai Hsuan Huang, in una ideale passeggiata per Villa Borghese finge di recarsi nei luoghi più sperduti del mostro Paese visitati dal regista durante la sua lunga attività. I brani di questi brevi estratti appartenevano ad un programma che si chiamava Sottotraccia – titolo perfetto per una sintesi ragionata del lavoro del regista romano – che è andato in onda su Raitre dal 1991 al 1993. Ci ritroviamo di tutto in questi reportage: dal volto di Gesù che si immagina apparire su di un portone di una abitazione in un piccolo paese dell’Appennino; il tizio che picchiava i preti, il parrucchiere per “Madonne”, il premio culetto d’oro bisex a Igea Marina lungo la Riviera romagnola; la fiera degli uccellini canterini; la gara dei campanari; le mummie di Felentillo; la roulette delle Feste dell’Unità; l’intervista a Rocco Tano prima di diventare Rocco Siffredi; il procedimento per la realizzazione dei preservativi in una fabbrica; la gara degli spogliarellisti amatoriali, ma anche la gara dei timbratori di francobolli. Ne esce fuori un ritratto di un’Italia sconosciuta e ancora – tutto sommato – felice. Ne esce anche un ritratto di un Paese che cercava di legarsi ad una tradizione ma che sapeva violarla in opposizione ad ogni forma di politically correct, di un Paese sommerso, luogo di una eterna provincia piena di risorse e di originali invenzioni che avevano sempre dentro il tema antico della preservazione di una comunità. È con questi brevi tratti che Io, il tubo e la pizza sa farsi film davvero spumeggiante e attualissimo, vivace come lo era l’intelligenza del suo autore, di un umorismo sincero che diventa anche traccia delle contraddizioni di un intero corpo sociale, segnando la distanza tra quel passato e questo presente anche in tema di scelte di palinsesto.
Il film si chiude con una lunga sequenza di un film del regista I nuovi angeli del 1962, una riflessione sui giovani dell’epoca, figli del boom economico. La sequenza è ambientata in Sicilia, ad Agrigento, all’epoca della realizzazione della fabbrica della Montecatini. Il tema è la conquista con ogni mezzo del posto di lavoro sicuro e di un operaio che resta escluso da questo processo perché ignorante e non raccomandato. Su queste nitide immagini siciliane il film si chiude e Ugo Gregoretti con il carico dei suoi anni, e con i due giovani a fianco, si allontana di spalle, per noi con la malinconia di non avere avuto dopo di lui alcun erede che abbia saputo raccontare quest’Italia sommersa e così inattesa.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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