"Ipotesi di reato" di Roger Michell

Ennesima celebrazione del sogno americano, appesantita da un apparato retorico di marca cattolica, il film di Michell – che si limita alla corretta quanto anonima esecuzione – fallisce sia come apologo morale che come prodotto di genere, proprio a causa dell'irrisolto sovrapporsi dei due registri narrativi.

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Un'idea non originale ma ricca di potenzialità interessanti (un evento casuale determina l'incontro di due personalità agli antipodi – il giovane e rampante avvocato Gavin Banek ed il loser Doyle Gipson, un ex alcoolizzato pieno di buoni propositi – ponendole l'una contro l'altra fino all'inevitabile escalation di violenza) si estrinseca in un film che fallisce il doppio bersaglio dell'apologo morale e del prodotto di genere proprio a causa dell'irrisolto sovrapporsi dei due registri narrativi. Sono infatti le ambizioni contenutistiche della sceneggiatura a togliere mordente alla struttura del thriller movimentato: il ritmo è appesantito dalle continue "pause" dedicate ai dialoghi ed alla definizione dei personaggi, che risultano peraltro assai inverosimili (l'ingenuità di Banek mal si concilia con il suo ruolo e le "buone intenzioni" di Gipson appaiono troppo caricate). Inoltre, nel tessuto della favola sulla cattiveria umana e sulla banalità del male si fa progressivamente strada un substrato ideologico di marca cattolica (la vicenda si svolge nel giorno di Venerdì Santo; il secondo incontro tra i due protagonisti avviene davanti ad una chiesa; giunto all'esasperazione, Banek si confessa; ecc.), il quale, rimanendo nell'ambito della pura enunciazione – dialogica, narrativa o figurativa che sia -, si traduce inevitabilmente in un tronfio apparato retorico. Michell (il regista di Notting Hill), dal canto suo, si limita alla corretta quanto anonima esecuzione, alternando la rappresentazione dinamica dei momenti d'azione (come i due incidenti stradali) all'illustrazione didascalica del "dettaglio contenutistico" (si pensi all'inquadratura dell'interno del taxi dove viaggia Gipson, con in primo piano – unico elemento messo a fuoco – un crocifisso che penzola dallo specchietto retrovisore).

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Messe da parte le ambizioni etiche e religiose, molto più interessante risulta invece l'implicito contenuto politico del film. Nonostante l'apparente revisionismo (la denuncia dell'affarismo senza scrupoli è piuttosto generica e, soprattutto, astorica) Ipotesi di reato si rivela un'ennesima celebrazione del sogno americano, con annessa apologia del self-made man (Banek, dopo aver smascherato la corruzione dei suoi datori di lavoro, li ricatta per indurli ad aiutare Gipson: il perdente ha quindi la sua possibilità di riscatto grazie all'uomo di potere che sceglie di usare l'arma del cinismo a fin di bene). E chi meglio di Ben Affleck, con la sua faccia pulita e la sua espressione ingenua (ma non troppo), poteva interpretare il ruolo di Banek? Reduce dalle prove di Armageddon e di Pearl Harbor, l'attore incarna ormai il paradigma della sana gioventù statunitense e la sua immagine restituitaci dallo schermo cinematografico sembra sempre più aspirare a porsi come una delle odierne trasfigurazioni iconiche dell'american way of life.


 


Titolo originale: Changing Lanes
Regia: Roger Michell
Sceneggiatura: Chap Taylor, Michael Tolkin, da un soggetto di Chap Taylor
Fotografia: Salvatore Totino
Montaggio: Christopher Tellefsen
Musica: David Arnold
Scenografia: Kristi Zea
Costumi: Ann Roth
Interpreti: Ben Affleck (Gavin Banek), Samuel Jackson (Doyle Gipson), Kim Staunton (Valerie Gipson), Toni Collette (Michelle), Sidney Pollack (Stephen Delano), Tina Sloan (signora Delano), Richard Jenkins (Walter Arnell), Akil Walker (Stephen Gipson), Cole Hawkins (Danny Gipson), William Hurt (amico di Gipson)
Produzione: Scott Rudin per Paramount Pictures/Scott Rudin Productions
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 99'
Origine: Usa, 2002



 

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