Jafar Panahi annuncia lo sciopero della fame e della sete

Detenuto dal luglio scorso nella prigione di Teheran, il regista Jafar Panahi annuncia la drammatica scelta di iniziare uno sciopero per protestare contro il trattamento disumano del regime iraniano

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Jafar Panahi, che ha recentemente diretto Gli orsi non esistono, da sempre convinto oppositore del regime iraniano, è detenuto nella prigione di Evin dal luglio scorso, periodo nel quale la milizia lo ha fatto arrestare in seguito alla richiesta di spiegazioni circa la detenzione di due suoi colleghi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad. La scorsa settimana, la moglie del regista Tahereh Saeedi è stata informata di una sentenza della Corte suprema iraniana che ordinava la scarcerazione del marito, ma al giorno d’oggi ancora nulla di fatto. Per questo motivo Jafar Panahi ha annunciato la drammatica scelta di iniziare uno sciopero della fame per protestare contro le ingiustizie che lui e tutto il popolo dissidente iraniano stanno subendo da ormai troppo tempo. Nella sua dichiarazione, Panahi si sofferma sul trattamento “illegale e disumano” da parte della magistratura e delle forze di sicurezza della Repubblica islamica e la loro “presa di ostaggi”, il regista annuncia che smetterà di mangiare, bere e prendere le sue medicine fino a quando “il mio corpo senza vita sarà stato forse liberato da questa prigione”. Di seguito la lettera integrale di Jafar Panahi pubblicata dalla moglie Tahereh Saeedi:

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“Il 20 luglio di quest’anno, per protestare contro l’arresto di due nostri amati colleghi, Mohammad Rasulof e Mostafa Al-Ahmad, ci siamo riuniti insieme a un gruppo di cineasti davanti alla prigione di Evin, ed è stato deciso che alcuni di noi e gli avvocati dei colleghi detenuti entrassero nel tribunale di Evin; stavamo parlando pacificamente con le autorità competenti e con l’investigatore quando è arrivato un agente che mi ha portato dal giudice del primo ramo dell’esecuzione della sentenza. Il giovane giudice mi ha detto senza presentarsi: “La stavamo cercando nei cieli, l’abbiamo trovata qui. Lei è in arresto!”. Così, sono stato arrestato e trasferito nella prigione di Evin per l’esecuzione di una sentenza di undici anni. Secondo la legge per cui ero stato arrestato nel 1988, dopo più di dieci anni di non-esecuzione di una sentenza, questa è soggetta al trascorrere del tempo e diventa inapplicabile. Pertanto, questo arresto è stato più simile al banditismo e alla presa di ostaggi che all’esecuzione di una sentenza giudiziaria.
Anche se il mio arresto era illegale, gli avvocati sono riusciti a violare la sentenza emessa nel 1990, riportando il procedimento presso la Corte Suprema, che è la massima autorità per i casi giudiziari, il 15 ottobre 2022 di quest’anno, in modo da potersi rivolgere alla stessa sezione per un nuovo processo. In questo modo, secondo la legge, con l’accettazione della richiesta di nuovo processo e la violazione del verdetto, il caso è stato deferito al ramo e avrei dovuto essere rilasciato immediatamente su cauzione; mentre abbiamo visto che ci vogliono meno di trenta giorni dal momento dell’arresto all’impiccagione di giovani innocenti del nostro Paese, ci sono voluti più di cento giorni per trasferire il mio caso all’ordine con l’intervento delle forze di sicurezza.
Secondo la legge, nei casi di violazione della sentenza presso la Corte Suprema, il giudice della stessa sezione era obbligato a rilasciarmi emettendo un ordine di libertà provvisoria non appena il caso fosse stato deferito a quella sezione, tuttavia, emettendo un ordine di libertà provvisoria con pesante cauzione, in pratica, dopo mesi di detenzione legale, ero ancora tenuto in prigione con ripetute scuse degli agenti di sicurezza.
Quel che è certo è che il comportamento prepotente ed extra-legale delle istituzioni di sicurezza, e la resa indiscussa delle autorità giudiziarie dimostrano ancora una volta l’applicazione selettiva e impropria delle leggi.
È solo una scusa per la repressione. Pur sapendo che il sistema giudiziario e le istituzioni di sicurezza non hanno alcuna volontà di applicare la legge (su cui insistono), con rispetto nei confronti dei miei avvocati e dei miei amici, ho percorso tutte le vie legali per ottenere i miei diritti; oggi, come molte persone intrappolate in Iran, non ho altra scelta che protestare contro questi comportamenti disumani con il bene più caro che ho, cioè la mia vita.
Pertanto, dichiaro fermamente che per protestare contro il comportamento extra-legale e disumano dell’apparato giudiziario e di sicurezza e contro questa particolare presa di ostaggi, ho iniziato uno sciopero della fame dalla mattina del giorno 12 di Bahman e mi rifiuterò di mangiare e bere qualsiasi cibo e medicina fino al momento del mio rilascio. Rimarrò in questo stato finché il mio corpo senza vita sarà forse stato liberato da questa prigione.
Con amore per l’Iran e la gente della mia terra, Jafar Panahi.

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