La caduta della casa degli Usher, di Mike Flanagan
Meravigliosa serie che, dell’opera di Edgar A. Poe, tenta di materializzare i riflessi. Spaventosamente intima, familiare e anche profondamente politica. Netflix
Le visioni di Poe, la scrittura di Flanagan ed i corpi della casa Usher
Ci sono sempre una casa, un racconto ed un fantasma, al centro del cinema seriale di Mike Flanagan. L’autore, che più di ogni altro, ha ridisegnato i confini dell’horror contemporaneo con serie tv e film come Doctor Sleep, Hill House e Midnight Mass, torna su Netflix per l’ultima volta – ad attenderlo c’è già una nuova collaborazione con Prime Video… – con La caduta della casa degli Usher, miniserie composta da otto episodi di un’ora circa ciascuno, ispirata alle pagine dell’omonimo racconto di Edgar Allan Poe.
Otto puntate che, lasciandosi solo suggestionare dal filo rosso della prosa dello scrittore di Boston, proiettano le orrorifiche vicende degli Usher nell’America dei nostri giorni, tessendo un intreccio narrativo denso di rinvii, allusioni, citazioni, in uno scambio continuo tra schermo, letteratura e vita, dove la decadente dimora degli Usher diviene una perfetta macchina visiva per attraversare l’intera opera di Poe, con i titoli degli otto capitoli che riprendono espressamente celebri racconti e poesie dello scrittore (da La Maschera della morte rossa a Il gatto nero passando per I delitti della Rue Morgue e Il corvo, solo per citarne alcuni…). Una navigazione che procede per visioni, sussulti o onde emotive, in cui la messa in scena sembra nutrirsi avidamente di una prosa antica per assaporare il gusto segreto di ogni parola, al di là del senso di un racconto da riscrivere o da personaggi di carta da trasferire sullo schermo.
Il cinema di Flanagan ama sempre partire da una traccia letteraria – da Stephen King o Shirley Jackson, da Henry James o Christopher Pike poco importa… – per poi disperdere la narrazione lungo sentieri popolati da sogni, ricordi, allucinazioni e oscure premonizioni: ogni composizione letteraria non è tanto importante per ciò che può raccontare quanto per i varchi sensoriali che potrebbe aprire (Huxley non è lontano…), per le visioni filmiche in grado di ispirare. Ecco perché in questa meravigliosa serie non c’è alcun “adattamento” cinematografico o televisivo dell’opera di Poe, la sceneggiatura – che come sempre Flanagan scrive da solo o a quattro mani – è solo il tentativo di materializzarne i riflessi, di catturare, seppur in un solo fotogramma, gli ectoplasmi che l’occhio cinematografico genera a contatto con la filigrana della carta stampata. Fantasmi della letteratura che lo sguardo filmico riporta in vita tra i corridoi, nelle cantine, nei sotterranei, tra gli angoli più bui e nascosti di ville decadenti o dimore dimenticate come la casa Usher, la residenza estiva di Hill House o l’inquietante Bly Manor…
Come accade in quasi tutte le opere del regista di Salem, anche questa volta la storia inizia e finisce tra le mura – anzi, dietro il muro… – di una casa maledetta (o semplicemente di uno spazio chiuso…) dove lo spettro prende la forma di una lunga confessione che affoga in un flusso di coscienza pieno di corpi in mutazione, di apparizioni e sparizioni, di sogni che confondono il vero ed il falso; un piano orizzontale che, partendo dalle fatiscenti pareti della vecchia casa Usher, finisce per tagliare le ricche abitazioni dei figli legittimi e illegittimi del magnate dell’industria farmaceutica Roderick Usher, in una spirale di terrificanti e grottesche uccisioni che segnano tutti i frammenti di questa saga familiare. Nella poetica di Flanagan ogni spazio custodisce sempre il suo segreto, dietro ogni mattone si cela un ricordo, una visione, una percezione pronta a liberare il fantasma, la “luccicanza” che, in un andirivieni ideale tra King e Poe, sembra toccare ogni personaggio. Come in Hill House o in Midnight Club, anche qui c’è tutta un’estetica del muro, una passione per ciò che non ci permette di guardare oltre, quel limite che costringe ogni corpo a precipitare in un orrore interiore dove la percezione del sé conduce verso un’inevitabile autodafé. È attraverso o al di là dei muri che “i vivi e i morti” tornano ad incontrarsi: in questo (non)luogo sospeso tra realtà ed allucinazione i fantasmi appaiono anche per un solo istante in cerca di un senso di giustizia che riposa in antiche e diaboliche promesse, in affetti mai sopiti o in un inconscio che non smette di delirare. La ghost story diviene parabola etico-politica – in The Fall of the House of Usher ancor più esplicitamente che nelle opere precedenti… – dove il divenire mostruoso assomiglia sempre più alla trasfigurazione di un reale psichicamente insostenibile, irrimediabilmente segnato da sensi di colpa, dalla dipendenza da psicofarmaci – il terribile “Ligodone”, contestatissimo antidolorifico oppioide che ha decretato il successo della casa farmaceutica Fortunato degli Usher… – o, più semplicemente, da un potere che logora, consuma e deforma il corpo.
Ma se dietro il muro riposa il fantasma, davanti ai mattoni Flanagan orchestra ancora una volta il suo cinema “rituale” e liturgico: non solo per la messa in scena che ripete, episodio dopo episodio, come fosse un giudizio divino – ancora l’angelo sterminatore di Midnight Mass? – la macabra punizione personalizzata inferta a ciascuno dei protagonisti; o per la passione per i riti funebri che si succedono identici ed imperturbabili, sempre funestati dalle medesime visioni; o, ancora, per il muro di mattoni che apre e chiude la visione, disegnando quasi un cerchio mistico dal sapore kafkiano (l’uomo davanti alla porta della sua Legge o del suo Giudizio); quanto per la costruzione di uno sguardo filmico che, sequenza dopo sequenza, passa sempre attraverso gli stessi corpi attoriali (da Samatha Sloyan a Rahul Kohli, passando ovviamente per Kate Siegel moglie e collaboratrice di Flanagan…) fino a trovare nel volto di Carla Gugino (la spietata e multiforme Verna) e nel solito occhio fotografico di Michael Fimognari le icone perfette di un cinema spaventosamente intimo e familiare – e forse anche per questo così profondamente politico…
Titolo originale: The Fall of the House of Usher
Creata da: Mike Flanagan
Regia: Mike Flanagan (ep. 1-2-5-6), Michael Fimognari (ep. 3-4-7-8)
Interpreti: Bruce Greenwood, Carla Gugino, Mary McDonnell, Carl Lumbly, Henry Thomas, Kate Siegel, Rahul Kohli, Samantha Sloyan, Zach Gilford, Willa Fitzgerald, Sauriyan Sapkota, Crystal Balint, Ruth Codd, Kyliegh Curran
Distribuzione: Netflix
Durata: 60′ circa a episodio
Origine: USA, 2023