"La casa di sabbia e nebbia", di Vadim Perelman

La sceneggiatura sconclusionata del film trova nell'esasperazione dei personaggi un rimedio posticcio al suo preoccupante vuoto di idee ma dimentica di fornire alle figure narrate uno stralcio di pretesto valido; ciascuno cade vittima di un'istintualità trascinante capace perlomeno di favorire il genio recitativo di Ben Kingsley

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Un pretesto narrativo che poteva fuoriuscire pure dalla penna di qualche condomino frustrato pare proprio l'espediente ideale ad ispirare motti pericolosi quali "certi sogni non vanno condivisi" (l'american dream, per caso?); specie poi se l'adattamento cinematografico del romanzo firmato da Andre Dubus III finisce per gettare indelicatamente le proprie fondamenta su un contesto interraziale tanto problematico quanto attuale, alimentando un rapporto di convivenza ancora belligerante tra statunitensi autoctoni e immigrati arabi.

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Sposando un clima culturale dove il diritto di cittadinanza o l'identità individuale discendono esclusivamente dalla legge del possesso, il film regala una sofisticazione intellettualistica della psicosi medio-borghese intitolata "oddio, arriva l'arabo conquistatore e ci porta via la casa". D'altronde l'oscuro colonello Behrani sembra sposare magnificamente la sua nuova dimensione di americano capitalista quando compra per pochi soldi una villetta sull'oceano ingiustamente espropriata alla legittima proprietaria, con l'ovvio intento di trarne un bel gruzzolo.


Quelle quattro mura costituiscono però il solo aggancio della sfortunata Kathy verso legami personali ormai infranti (padre morto, marito fuggito, fratelli assenti) e insieme l'incessante richiamo simbolico al Mar Caspio per una famiglia di rifugiati iraniani; ovvero ricordi persi nella nebbia circostante, nostalgie nascoste sotto la sabbia della spiaggia adiacente. Il regista russo Vadim Perelman si affanna tuttavia a suggerire una dialettica di opposti tra l'unione parentale del mondo medio-orientale e la solitudine scellerata dell'uomo occidentale, segno lampante di una debolezza prima di tutto istituzionale: altrimenti i matrimoni resisterebbero e la contea mica allestirebbe aste fasulle! L'esito tragico della storia sancisce inoltre il fallimento di ogni possibile "coabitazione" tra popoli, destinati a spogliarsi reciprocamente della loro dimora.


La scrittura sconclusionata di Shawn Otto trova nell'esasperazione dei personaggi un rimedio posticcio al suo preoccupante vuoto di idee ma dimentica di fornire alle figure narrate uno stralcio di pretesto valido; ciascuno cade vittima di un'istintualità trascinante capace perlomeno di favorire il genio recitativo di Ben Kingsley, fresco candidato agli Oscar. A forza di semplificazioni, la pellicola innesca così una molteplicità stratificata di letture politiche che ne intuiscono il vezzo didascalico e reazionario.


 


Titolo originale: House of Sand and Fog


Regia: Vadim Perelman


Sceneggiatura: Vadim Perelman, Shawn Otto dal romanzo omonimo di Andre Dubus III


Fotografia: Roger Deakins, David Stockton


Montaggio: Lisa Zeno Chrgin


Musiche: James Horner


Scenografie: Maia Javan


Costumi: Hala Bahmet


Interpreti: Jennifer Connelly (Kathy), Ben Kingsley (col.Behrani), Ron Eldar (vice-sceriffo Lester Burdon), Navi Rawat (Soraya Behrani), Jonanthan Ahdout (Esmail Behrani), Shohreh Aghdashloo (Naderah Behrani), Frances Fisher (Connie Walsh), Kia Jam (Ali)


Produzione: Michael London, Vadim Perelman per DreamWorks SKG


Distribuzione: Nexo


Durata: 126'


Origine: Usa, 2003


 

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