La Parola e la Poesia, ancora su "La tigre e la neve"

Sono il perno sul quale Roberto Benigni fa ruotare La tigre e la neve, il punto focale di un discorso che nasce dalla necessità di restituire senso al mondo e si sviluppa in una commedia dove la comicità è la rima che va a baciare la realtà, così come i sentimenti sono l'armonia che fa risuonare la magia nel reale.

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La Parola e la Poesia sono il perno sul quale Roberto Benigni fa ruotare La tigre e la neve, il punto focale di un discorso che nasce dalla necessità di restituire senso al mondo e si sviluppa in una commedia dove la comicità è la rima che va a baciare la realtà, così come i sentimenti sono l'armonia che fa risuonare la magia nel reale. La parola, alla quale il poeta Attilio affida il potere di forgiare un universo in cui tutto comunica con tutto, è la leva in grado di sollevare il peso della comprensione reciproca, dunque dell'amore, esattamente come il poeta è l'operaio che utilizza la parola per dare senso al mondo, per farlo rispondere a una logica in cui c'è rispondenza tra desideri e azioni, ovvero tra pensiero ed eventi reali.

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Tutta la prima parte del film è un lieve teorema in cui Benigni spiega e racconta questo, sviluppando e dichiarando in realtà il principio che era alla base de La vita è bella, dove tutto verteva per l'appunto sull'incanto forgiato da un padre che mediava presso il figlio l'orrore dell'odio e della morte, affabulando per lui con le parole un mondo in cui tutti i segni terribili venivano ribaltati in gioco e magia; un mondo che veniva costretto ad essere altro da sé per rispondere a una logica d'amore e di salvezza anziché d'odio e di annientamento. Il senso di tutto questo, Attilio lo spiega molto bene con la parabola dell'uccellino, ma ancor meglio con la surreale magia del pipistrello entrato in casa e fatto uscire con l'incanto della rima.

La tigre e la neve dunque è un film che, al di là della chiara intenzione di ricreare l'alchimia da Oscar de La vita è bella, intende soprattutto spiegarne e svilupparne il senso, applicandolo al non meno tragico presente in cui viviamo. Anche qui, infatti, il doppio registro del film gioca su una prima parte in cui il mondo risponde a una logica armonica e unitaria, alla quale si oppone una seconda parte in cui la realtà crolla nell'irrazionalità discordante e frammentaria. E allora dalla luce si passa all'ombra, dagli individui sorridenti alle masse dolenti, dagli edifici alle macerie, dalle strade alle barriere… Proprio come in La vita è bella, anche qui la cesura è rappresentata dalla separazione della coppia. E allora quando Vittoria finisce in un letto d'ospedale a Baghdad, tutto si trasforma di segno e diviene un brutto sogno: Baghdad, città aperta in cui i due protagonisti si trovano separati in bilico sulla morte e infine disuniti dal destino, diviene dunque il segno opposto, tristemente e drammaticamente reale, in cui si ribalta lo scenario onirico del sogno su cui si apre il film, in cui invece si celebrava l'unione di Attilio e Vittoria in un tempio pagano dall'architettura aperta e indefinita.


Questa volta, però, per quanto provi di negare la morte di Vittoria esorcizzandola con una affabulazione ottimistica, ad Attilio/Benigni (a differenza del padre ne La vita è bella ) non basta l'esercizio della parola, non gli è sufficiente invertire di segno la realtà per opporla a se stessa nell'incantesimo del dire. Questa volta Attilio/Benigni dovrà chaplinianamente darsi da fare, agire, sudare, correre, faticare per costruire quella realtà salvifica di cui Vittoria ha bisogno: la glicerina, l'ossigeno, i medicinali… Segno che La tigre e la neve si definisce proprio in ragione della realtà, non fosse altro che per il fatto che la parabola che racconta non è tesa ha elaborare un lutto assunto nelle piaghe della Storia, ma mira piuttosto a lavorare sul dramma del presente.

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