La piccola grande storia di Alphaville, l’ultimo cineclub

Il 1° gennaio ci ha lasciato Patrizia Salvatori, fondatrice di Alphaville. La raccontiamo con un ricordo personale per rivivere insieme l’avventura dell’ultimo cineclub romano.

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Per Pat e Pino, con tanto amore e gratitudine

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È facile vedere l’inizio delle cose. Più difficile vederne la fine”. Questa frase di Joan Didion che amo molto mi è tornata spesso in mente negli ultimi giorni, dopo la scomparsa improvvisa di Patrizia Salvatori, regina di Alphaville, il cineclub nel cuore del quartiere Pigneto, ossia la zona che – per i non romani – è passata dall’essere uno dei punti di osservazione di Pasolini per il racconto del sottoproletariato urbano a centro della movida, gentrificato quanto basta da far convivere pacificamente vecchi e nuovi residenti.

Nel 2001, quando Alphaville prese vita, il Pigneto era molto diverso. Alcuni locali iniziavano ad aprire, il ristorante L’Infernotto sull’isola pedonale attirava già giornalisti e una clientela “aliena” all’abitante medio di zona. Poco più lontano, a Piazza Lodi, il Circolo degli Artisti iniziava a mettere in piedi una programmazione musicale non scontata e quel piccolo quadrante di Roma Est a ridosso di San Giovanni stava per diventare una meta da scoprire per tutti i “bobo” romani, che di lì a poco avrebbero cominciato a farvi degli investimenti immobiliari perché, dicevano divertiti, “il Pigneto è la nuova Montmarte”.

Il cinema, però, mancava terribilmente. Ad eccezione del cineclub Grauco, stipato in un locale su due piani ricoperto di legno come una baita, portato avanti da un’anziana coppia di appassionati (e che anni dopo sarebbe stato brevemente rilevato dal Kino) non c’era più una sala di quartiere. Il cinema Impero di Torpignattara e l’Avorio di Via Macerata erano chiusi dopo il declino come sale a luci rosse, mentre il Cinema Aquila, che pure aveva condiviso quel destino, non aveva ancora riaperto i battenti.

Alphaville è nato così, un po’ per gioco, un po’ per scommessa e un po’ per noia, da un gruppo che amava riunirsi attorno al negozio di gadget cinematografici che Patrizia Salvatori e Pino Palazzolo gestivano in Via Malatesta. Da metà anni Novanta il loro negozio senza nome era diventato, chissà come, una specie di salotto letterario dove ci si ritrovava per parlare di cinema – soprattutto francese, la grande passione di Patrizia – musica, mostre e libri. Di questo strambo gruppo io, sedicenne, ero la più piccola, la mascotte. E ho presto trovato in Patrizia e Pino il mio centro affettivo e culturale. Insieme abbiamo visto tantissimi film, ma soprattutto li abbiamo ricondotti alle nostre vite, ai nostri sentimenti, ai nostri smarrimenti, perché è poi questo il senso vero e il fine ultimo del cinema, quello di connetterci al nostro sentire più intimo, al mondo, agli altri, facendo risuonare le immagini dentro di noi.

Patrizia si era laureata in Storia del cinema alla Sapienza, Pino aveva studiato Fotografia allo IED, una specie di infiltrato nell’ambiente fighetto che amava ridicolizzare. Lei vulcanica, lui scontroso, erano uno di quegli equilibri inspiegabili che sfuggono a ogni logica. “Vendere” il cinema, fossero poster o calamite, a lei andava ovviamente stretto. E allora arrivò la proposta di un cineclub: era il nostro regalo per lei, che meritava una passione più grande, e che in questi ventidue anni ne ha fatto una missione, una ragione di vita. Tra i nomi in ballo c’era anche La regola del gioco, dal film di Jean Renoir che tutti amavamo, mentre Il posto delle fragole fu scartato perché già in uso da un’associazione dell’Esquilino che metteva insieme sala da tè e giochi da tavolo. Poi Alphaville convinse tutti: racchiudeva il cinema francese di Godard e l’idea di una città, di un futuro da cambiare.

La prima estate proiettammo nella sala interna del Circolo degli Artisti. Non ho più memoria dei titoli che scegliemmo ma ricordo bene gli andirivieni sulla mitica Panda bordeaux di Pino per reperire i dvd, ritirare le tessere FICC, stampare i programmi.

Poi, progressivamente, io e gli altri due soci fondatori, Sara e Alessandro, ci siamo allontanati e Alphaville, che nel frattempo aveva trovato la sua sede in Via del Pigneto, è diventata interamente la creatura di Patrizia e Pino, con l’aiuto di altri amici che negli anni sono diventati colonne portanti del cineclub, soprattutto Caterina e Ciro Damiano.

Ci sono state le rassegne in collaborazione con le prime edizioni della Festa del Cinema di Roma, le Mini Arene Pigneto, i corsi di linguaggio cinematografico e i laboratori di fotografia, gli incontri con gli autori, gli articoli sui Diari di Cineclub, i podcast monografici sui cineasti più amati. Solo pochi giorni fa, a metà dicembre, Patrizia mi raccontava la sua commozione nel pensare agli oltre 80.000 tesserati che Alphaville aveva raggiunto nel corso degli anni. Persone che a volte erano state semplici avventori di una sera, ma che molto più spesso erano diventate di famiglia e avevano trovato in quella saletta un avamposto nel quale resistere al disgregamento culturale innescato da un mercato di piattaforme virtuali e dalla censura aggressiva di tutti quegli spazi non istituzionali, ma liberi e creativi, vissuto da tutte le città nell’ultimo decennio.

Nel suo piccolo Alphaville è riuscito a resistere laddove molti, troppi, spazi romani indipendenti hanno chiuso, ultimo cineclub novecentesco, dopo la recente e triste chiusura del Detour di Via Urbana, che per diversi anni ha intrecciato la sua storia con Sentieri Selvaggi.
In una città colma di locali ed edifici sfitti, vuoti, abbandonati a un inevitabile destino di degrado si è spesso colpito – e lo si fa ancora oggi – chi ha cercato di fare cultura e aggregazione al di fuori dei luoghi garantiti dalla politica. Abbiamo perso il Circolo degli artisti, il Cinema Palazzo, il Detour, mentre lottano ancora Lucha Y Siesta e la Palestra popolare di San Lorenzo. Adesso che Pino e Patrizia non ci sono più – se ne sono andati a un anno e mezzo di distanza l’uno dall’altra, a conferma di un legame simbiotico… – ci chiediamo tutti cosa ne sarà di Alphaville, se riuscirà a sopravvivere senza l’energia e la fede dei suoi creatori. Sul sito del cineclub Patrizia scriveva “la saletta, quella di sempre, è piccola…Ma il cinema…quello sì che è grande davvero!”. Ma ho la convinzione che anche Alphaville abbia avuto e debba avere ancora la sua grande storia.

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