Nessuno ti salverà, di Brian Duffield

Un horror che non sembra credere per nulla alla potenza evocativa del gesto cinema puro e semplice. Quindi deve necessariamente sminuirlo, contaminarlo esplicitamente per “elevarlo”. Disney+

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Non sembra volersi perdere troppo in lungaggini inutili, Nessuno ti salverà: dopo pochi minuti dall’inizio, appena il tempo necessario per introdurre la protagonista Brynn e il suo mondo, il film mette immediatamente le carte in tavola e svela l’identità degli alieni che si introducono nottetempo nell’abitazione della giovane ragazza. La quale, da par suo, non è affatto intenzionata a soccombere come tutti gli altri abitanti della città e si prepara a un lungo assedio contro gli invasori. Semplice, conciso e diritto al punto, come in un b-movie d’altri tempi. O forse no? Ma andiamo con ordine. Il silenzio, innanzitutto: il primo aspetto in grado di catturare l’attenzione è la scelta di rinunciare (quasi) completamente ai dialoghi per concentrarsi sul gesto fisico e materiale della messa in scena. Nonostante ciò, il regista e sceneggiatore Brian Duffield riesce ugualmente (e gradualmente) a raccontare allo spettatore qualcosa di più sulla sua protagonista: di lei sappiamo che abita da sola in una grande casa fuori città, che è appassionata di modellismo, che soffre per la perdita di alcuni cari (la madre, un’amica del cuore) e, soprattutto, che viene evitata da tutti per un motivo che in un primo momento non ci è dato conoscere. Ed è sempre in silenzio (A Quiet Place, ma anche il meno conosciuto Hush di Mike Flanagan) che assistiamo alla sua strenua resistenza contro alieni che lasciano cerchi sul terreno come in Signs, che giocano a nascondino in cantina come con Tom Cruise in La guerra dei mondi, che assumono il controllo degli umani come in L’invasione degli ultracorpi o in una delle sue infinite declinazioni, e così via.

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Il continuo susseguirsi di citazioni e omaggi farebbe anche sorridere (almeno se si è spettatori dotati di un minimo di memoria), ma nelle mani di Duffield sembra soltanto il pretesto per introdurre il colpo di scena a effetto capace di dare un senso nuovo a tutto il resto. L’home invasion allora non è più sufficiente: come accade anche per buona parte della produzione horror/sf contemporanea, almeno quella realizzata in un contesto mainstream (qui produce 20th Century Studios e distribuisce Hulu, tramite Disney+), Nessuno ti salverà sembra non credere per nulla alla potenza evocativa del gesto cinema puro e semplice. Quindi deve necessariamente sminuirlo, contaminarlo esplicitamente per “elevarlo” (che brutta espressione), portando in superficie – ma soltanto lì – tutta la drammaticità del suo materiale “alto” (il trauma, il lutto, il rimosso), perché sembra che, da sole, le dinamiche del genere non bastino più a raccontare e a rappresentare il dolore che abita il mondo. E se non si crede nel genere, è difficile credere pure nel cinema, o almeno in questo cinema; e infatti è sufficiente una sequenza qualsiasi di Contact di Zemeckis (non lo citiamo a caso, vedere per credere) per smontare tutta la vacuità di un’operazione arrogante e pretestuosa nel suo ostinarsi a guardarci dall’alto della cattedra. Se il film avesse rinunciato al silenzio, affidandosi più comunemente ai dialoghi, sarebbe cambiato qualcosa? Ecco, appunto.

 

Titolo originale: No One Will Save You
Regia: Brian Duffield
Interpreti: Kaitlyn Dever, Lauren L. Murray, Geraldine Singer, Dari Lynn Griffin, Elizabeth Kaluev, Dane Rhodes, Daniel Rigamer, Evangeline Rose
Distribuzione: Disney+
Durata: 93’
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
2.14 (7 voti)
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    Un commento

    • Dissento in modo clamoroso. Andiamo al punto cruciale: lo sminuire, il contaminare il GESTO cinema in quanto Nessuno ti salverà sembrerebbe non credere per nulla alla sua potenza evocativa. Il cinema è anzitutto azione più che gesto. Actor non a caso è colui che dice, che fa e che dà sul palcoscenico. Il gesto è al contrario proprio il drãma puro: il fare senza dire, il rito senza formule. Il film torna proprio al gesto puro, trascende l’azione. È nei suoi silenzi che traspira la drammaticità del genere, nelle immagini e nella lingua gutturale e incomprensibile degli alieni. Trasmettere solo con la potenza universale dell’immagine: questo vuole il regista. E lo fa. Il cosiddetto materiale “alto” (il trauma, il lutto, il rimosso) viene solo veicolato dall’immagine e non è una sublimazione del genere, una contaminazione, ma uno strumento per portare a compimento il genere stesso. È mezzo per il fine. Nulla più. Gli alieni non parlano inglese, sono altri come altra è Brynn rispetto alla comunità che la rifiuta: e qui sta a mio credere la grandezza del messaggio. Brynn non dialoga con i suoi simili perché bandita, esclusa incompresa. Saranno solo gli alieni, e senza una parola, a comprenderla. Senza quelle immagini alte (il trauma, il lutto, il rimosso) nessuna comprensione da parte degli alieni, nessuna loro empatia per Brynn potrebbe aver luogo. E senza quelle immagini alte non si spiegherebbe il finale, angosciante e confortante come la realtà creata per le pile-uomo da Matrix. Nessuno sarà salvato: tutti gli abitanti della comunità, cioè, saranno plagiati, lobotomizzati, privati del loro io dagli alieni, dagli altri. Ma Brynn che è ormai una degli altri si accontenta del ‘dono celeste’ che la riconnette almeno in superficie ai suoi simili, che la redime. Una bugia. Una finzione. Il gesto del ballo, il gesto del sorriso, la catarsi che è salvezza di sola apparenza.