PESARO 45 – Cinema israeliano: tra storia e modernità.


avanim di raphael nadjari

Il cinema israeliano protagonista in queste prime giornate festivaliere della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Un cinema, quello israeliano, che non può non fare i conti con quello che è stato il suo passato, la sua storia, fatta di percorsi erranti che hanno contribuito in maniera determinante alla frantumazione di un popolo alla ricerca ancora oggi di una propria identità

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avanim di raphael nadjariIl cinema israeliano protagonista in queste prime giornate festivaliere della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Un cinema, quello israeliano, che non può non fare i conti con quello che è stato il suo passato, la sua storia, fatta di percorsi erranti che hanno contribuito in maniera determinante alla frantumazione di un popolo alla ricerca ancora oggi di una propria identità. A History of Israeli Cinema, monumentale lavoro documentaristico di Raphaël Nadjari, traccia le coordinate di un cinema in continua evoluzione e riflessione, un percorso a tappe che parte dal 1933 e termina nel 2005. In questo documentario, si parte dalle origini, dove le prime immagini cinematografiche impresse sulla pellicola mostrano un cinema chiaramente di propaganda, il cosiddetto Realismo sionista, corrente che affrontava temi quali l’integrazione degli immigrati, la costruzione di nuove città del deserto, lo sviluppo dell’apparato militare. I film sionisti, benché dotati di una forte impronta ideologica, hanno comunque contribuito allo sviluppo di un’industria cinematografica fino ad allora praticamente inesistente. Negli anni ’60 si formano due nuove correnti di pensiero contrapposte, la prima denominata “Nuova Sensibilità” – il regista Uri Zohar ne è protagonista – dove il focus si sposta da una visione collettiva del popolo israeliano (la patria, la forza militare) ad una più individualista che si pone domande che travalicano gli “stretti confini” sionisti per approdare in lande riconosciute dalla parte “occidentale” – soprattutto la Nouvelle Vague francese – quali la solitudine, l’incomunicabilità e l’alienazione; la seconda corrente è chiamata burekas (nome derivante da un piatto mediorientale, una sfoglia ripiena) e riguarda film popolari dove al centro della scena ci sono personaggi sefarditi (gli ebrei originari del Nord Africa e del Medio Oriente). Questo genere trova fonte di ispirazione dalle commedie e dai melodrammi arabi. A prima vista si penserebbe ad una architettura filmica di puro intrattenimento, ma andando in profondità si potrebbe definire il burekas come una sorta di medicamento per alleviare le sofferenze psicosociali di un’etnia, quella arabo-ebraica, che ha avuto enormi difficoltà di ambientamento. Due generi dunque, Nuova Sensibilità e burekas, che in maniera chiara descrivono una dicotomia ideologica, artistica e sociale tra Occidente ed Oriente. Gli anni ’80 e ’90, sono invece dedicati ad una messa in discussione dei valori sionisti di Israele e ad un modo nuovo di vedere gli arabi e la loro lotta per l’indipendenza, portavoce di questa nuova generazione di registi è Amos Gitai.
Il cinema contemporaneo israeliano finora visionato è pervaso da una cupezza spirituale; film come
Broken Wings di Nir Bergman e children of the sun di ran talAvanim di Raphaël Nadjari mostrano la crisi della famiglia come momento di destabilizzazione emotiva e ricerca di emancipazione femminile, derive psicologiche dove la donna fatica a trovare una propria identità tra spettri religiosi ed incomunicabilità all’interno del nucleo familiare. Children of the sun di Ran Tal è un documentario che descrive la vita dei bambini cresciuti nei kibbutz, ma è una visione di superficie, che nell’intento di criticare la valenza sociale di queste comunità, un tempo ritenute sacre ed intoccabili, non riesce a coinvolgere lo sguardo, che risulta distaccato e distante davanti ad immagini amatoriali prive di forza espressiva. Le sept jours di Ronit & Shlomi Elkabetz, narra le incomprensioni ed i rancori che covano all’interno di una grande famiglia ritrovatasi al funerale di un congiunto (secondo la tradizione ebraica, sette sono i giorni di veglia funebre). A metà strada tra Gruppo di famiglia in un interno e Parenti serpenti, risulta finora il miglior film della rassegna israeliana. Spazio scenografico ridotto a pochi interni, fa dell’essenzialità il suo tratto distintivo con una predilezione per inquadrature fisse ed una recitazione corale degli attori che sale d’intensità sequenza dopo sequenza toccando inaspettati vertici di coinvolgimento emotivo.

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