Restore Point, di Robert Hloz

Un “Blade Runner ceco” per la sua estetica cyberpunk, Restore Poin è intrigante e sorprendente. Robert Hloz: un regista da tenere d’occhio al Trieste Science+Fiction Festival 2023

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Il cinema ceco vanta un’eredità variegata nel regno della fantascienza. Unendo la patinata estetica di genere mainstream con una narrazione speculativa approfondita ed elaborata, Restore Point – presentato in anteprima italiana al Trieste Science+Fiction Festival – è il primo lungometraggio, ambizioso e ben realizzato, del regista praghese Robert Hloz. Opera vincitrice della prima edizione del Premio Inaf- Event Horizon per ricordare l’orizzonte degli eventi, linee immaginarie in prossimità dei buchi neri che segnano il limite oltre il quale nulla sfugge ad essi, è un film noir intriso di fantascienza, che affronta alcune questioni profonde.

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La tecnologia della resurrezione, essenzialmente un prototipo di immortalità, dà il via a un’esplorazione di varie implicazioni emotive, psicologiche, sociali, etiche, morali e politiche. Gli sceneggiatori Tomislav Čečka, Robert Hloz e Zdeněk Jecelín affrontano abilmente questi temi attraverso sottotrame e dialoghi informali, descrivendo un mondo in cui esiste questa tecnologia e le sue conseguenti ripercussioni.

La narrazione si svolge a Praga nel 2041. Ogni cittadino ha il diritto costituzionale di vivere una vita intera. In caso di morte innaturale, la persona viene riportata in vita attraverso l’innovativa tecnologia del “Restore Point”, che funziona solo se viene creato un backup della memoria cerebrale ogni 48 ore. L’omicidio non è contemplato. Ma la detective Emma Trochinowska (Andrea Mohylová) viene incaricata di un terribile caso di omicidio plurimo dopo che il team di ripristino è riuscito a riportare in vita solo una delle due vittime.

Il film raggiunge un equilibrio inafferrabile tra una storia di genere e un’opera che filosofeggia sull’impatto sociale e individuale di tale tecnologia, attirando così un pubblico mainstream alla ricerca di azione e di genere, ma anche spettatori disposti a impegnarsi in un esperimento di riflessione meticolosamente progettato e stratificato.

Un “Blade Runner ceco” che echeggia Philip Dick per la sua estetica cyberpunk: il film presenta un’intrigante visione di edifici e oggetti con un’estetica “sociofuturista”. Incorpora abilmente una tecnologia futura credibile al servizio della narrazione: figure olografiche sostituiscono la fotografia della scena del crimine; le auto a guida autonoma eliminano lo stress dal tragitto giornaliero, ma fungono anche da dispositivi di localizzazione.

Ma mentre la scrittura, e in particolare l’uso degli effetti visivi, è fluida e intelligente, la musica è meno audace. Una generica colonna sonora pulsante è intervallata dal motivo di Clair de Lune di Debussy, uno dei brani più abusati della musica classica. Tuttavia, questo è un raro elemento instabile in una visione elegante e riflessiva di un futuro prossimo fin troppo credibile.

Un’opera che tocca in modo delicato argomenti con cui l’uomo fa i conti da sempre: il passaggio dalla vita alla morte, le seconde possibilità e il senso della vita – che non può essere ridotto al contenuto di un hard disk. Ideali utopici si confrontano con uno scenario sociale cupo e distopico, creando una giustapposizione coinvolgente. Il tutto, confezionato con effetti visuali eleganti e funzionali, che trasformano Praga in una metropoli del futuro.

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