RIFF 2020 – Interiorizzare come modus operandi

Il privato che diventa globale e il globale ritorna privato in un continuum raccontato in questa edizione in streaming del Rome Independent Film Fest. La nostra terza panoramica sul festival

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Un senzatetto sordomuto fin dalla nascita salva una ragazza da un tentativo di stupro. Lei gli rivela così di possedere ali magiche, e per ringraziarlo gli concede un desiderio come ringraziamento per il suo gesto, pensando da subito che voglia il dono dell’udito e della parola. A sorpresa il clochard risponde che non è quello ciò di cui ha bisogno, nonostante le sofferenze e angherie subite, perché lo renderebbe uguale a tutti gli altri; chiede anzi che siano le altre persone a soffrire della sua condizione, così da capire cosa si prova a essere lui.

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Le categorie dell’edizione online del RIFF 2020 dedicate ai racconti di finzione contengono un’ingrediente eccezionale, che li distacca dai documentari dello stesso festival, i quali vedono opere sociali e politiche portatrici di tematiche globali mentre i racconti, aromatizzati dagli stessi sapori, si concentrano maggiormente sulla ricerca del sé all’interno di situazioni quotidiane determinate soprattutto da piccolezze e condizioni comuni. Si presentano tematiche come ecologia, razzismo, disagi sociali, guerra, diversità; in un corpus di oltre 85 opere – tra cui 61 cortometraggi (24 italiani e 26 internazionali), 10 video animati e sperimentali e le opere in concorso – in cui si arriva soprattutto a innescare una minuziosa indagine sulla propria interiorità, un approfondimento sulle mancanze, l’inccociare di una paura, il cercarsi nel subconscio. Personaggi quasi “sporchi”, tratteggiati da un chiaroscuro imprescindibile, compiono azioni quando sane quando disdicevoli, accrescendo quella superficie complessa che racchiude tutte le ingiustizie e problematicità legate al sociale. Piccole storie di ribellione quotidiana o anzi, ribellione al quotidiano, come in Surge di Aneil Kari, fino a distopie che hanno una coscienza che va già ad ipotizzare sui legami futuri, come ad esempio in The Recycling man di Carlo Ballauri, in cui è doveroso iniziare a pensare a come contenere un mondo sovraffollato in una conversazione con se stessi sul rapporto genitori/figli, che spinge sull‘acceleratore per cercare di capire quando questi siano importanti o voluti, specie in una situazione tanto determinante, per evitare una tragicità futura.

C’è sentimento in questa voglia di scoprire e di scoprirsi, una ricerca di amore e un bisogno quasi fisiologico di perderlo in favore di sé stessi. Le relazioni sono analizzate dal primo all’ultimo istante, quando superficialmente, quando attraverso piccoli aspetti, quando privatamente, rendendo palpabile una certa urgenza di racconto sull’argomento.
Il tutto è esplicato in Costellazioni D’autunno di Marco Iermanò: “dovrei essere io la persona che più conosco al mondo, no? E invece scopro che dentro di noi ci sono ancora mondi sconosciuti, anche in me stesso. È come nella fisica. Proprio nelle cose più semplici, quelle che pensiamo di conoscere, che si trova quella piccola cosa che nasconde un’altra verità possibile.” Che è anche un po’ quello che perviene dai molti dei lavori selezionati dal RIFF: opere dalla tematica visibile che ne celano però una meno visibile. Tematiche globali in storie minimali.
Le priorità sono cambiate, serve pensare agli altri ripartendo da sé stessi; le relazioni con il prossimo vengono messe sul tavolo operatorio; i quesiti sull’essere, ma soprattutto sugli esseri, non possono più essere solo facoltativi ma pressanti. Tanti legami fragili poiché fioriti (o non fioriti) su bugie e ferite aperte, come mostrato in Il battesimo di Francesco D’Ignazio; o per via della forzatura di un’incomunicabilità tra due individui i quali forzano un sentimento che dovrebbe essere naturale, come in Amore Cane di Jordi Penner. Dalle relazioni intime a quelle affettive in una storia che parla di razzismo ma che pone le sue basi in rapporto d’amicizia ove si chiede solamente un’ingenua comprensione in Il gioco di Davide Salucci; e poi alla storia di una situazione di povertà economica in Le piccole cose di Gaia Altissimo & Luca Calvaresi, vissuta attraverso il percorso emotivo e sentimentale di una madre disillusa e depressa che ritrova la luce grazie alle gesta del suo bambino, che le ricordano quali sono le cose belle; e infine al legame tra nonno e nipote che si rafforza tramite un’azione ecologica altruista in Uno dopo l’altro di Valerio Gnesini, che con una semplice metafora spiega quanto l’ecologia dovrebbe essere un fondamento delle vite di tutti: accudire un albero è come prendersi cura di una nipote, poiché quell’albero è intrinsecamente legato al suo futuro.

L’interiorizzazione continua su un piano tra sogno e realtà grazie a Male Fadàu di Matteo Incollu. Male Fadàu è Padoreddu, il “matto del villaggio”, che, basato su una storia realmente accaduta, una notte ruba una radio da un aereo da guerra tedesco, precipitato tra le montagne dei Baunei in Sardegna nel 1942, da cui poi sentirà provenire una voce. Un cortometraggio che vive di memoria e profuma di ricordo, un legame con il passato che è quasi sempre sofferenza: proprio come i boschi impervi che si esprimono attraverso le immagini, il protagonista vive un percorso travagliato; lui è, come si può chiamare, l’ultimo degli ultimi, abbandonato, deriso, abusato, ma che sopravvive grazie a questa goccia di mestizia e ingenuità che lo accompagnano e lo rendono un personaggio che vive solo per se stesso e per il suo desiderio. Questa sua interiorizzazione si trasforma in un sogno, il riuscire a comprendere, nonostante tutti i limiti, di voler fuggire da un posto a cui non si appartiene.

Amore Cane

Dalle relazioni affettive si passa a quella con sé stessi – la più difficile, la più impegnativa, la più lunga. Ritornando alla storia del senzatetto e della ragazza alata – Intolerance di Giluiano Giacomelli & Lorenzo Giovenga – si può assistere a un’analisi sfaccettata ma esplicativa con una moralità difficile da catalogare in ‘buona’ o ‘cattiva’. Il clochard rappresenta qualcuno che ha imparato a conoscersi, apprezzarsi e sopravvivere, in una vita che può fare i conti solo con la propria interiorità, non avendo nient’altro; e la sua intolleranza è così privata, unica, eppure globale. La storia di un tentato stupro nasconde così altre violenze, altre sottotrame riguardanti diseguaglianze – anche da parte delle stesse vittime. È proprio la ricerca dentro sé stessi a rendere intolleranti verso ciò che non si può più accettare. Il desiderio del senzatetto dovrebbe far riflettere su più di un aspetto: prima ancora di debellare i problemi sociali occorre capirli, esorcizzando i lati più bui dell’essere, passo avanti che cinema e televisione stanno compiendo simultaneamente nel mondo moderno prima ancora che ci arrivi l’umanità stessa. Ma al contrario è anche vero che scegliere di diventare come tutti gli altri, anche nei casi in cui sia una decisione corretta, pone forse il limite di non poter vedere – in questo caso sentire – le angherie che subisce chi si sente diverso o che semplicemente lo è.
Personaggi vittime di ingiustizie che spesso ne inducono altre a loro volta, soprattutto pensando al corto Amore cane, che, bisognosi di comprensione, abbracciano il loro intelletto e la propria coscienza attraverso l’accettazione di un’analisi di quel sè nascosto e inclusivo di tutte le ombreggiature; tante volte senza nutrire abbastanza la mente per farla maturare.

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