Roma, santa e dannata, di Daniele Ciprì, Roberto D’Agostino e Marco Giusti

Un documentario che racconta la vita notturna romana e che rimane sulla superficie, danza amabilmente sullo stereotipo. Dall’intelligenza un po’ cialtrona, ma in fondo tenera

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In Tanti futuri possibili di Gianfranco Rosi, durante lo straordinario giro in minivan sugli anelli di Saturno del Grande Raccordo, a un certo punto Renato Nicolini afferma che “Roma è una città cinica. Morto un papa se ne fa un altro”. Ed è, in breve, quello che raccontano Roberto D’Agostino e Marco Giusti in Roma santa e dannata, viaggio “dantesco” nelle storie e nel dopostoria della vita notturna della capitale. L’idea di una città in cui nulla o nessuno è destinato a durare. A parte i monumenti, le vestigia eterne, a parte un potere che è una specie di entità metafisica, radicata nel sottosuolo di un apparato invisibile che regge il sistema, indifferente alle sorti di chi si affanna in superficie. Il divertente e amaro racconto di Carlo Verdone su Alberto Sordi, sindaco per un giorno, è emblematico. L’attore, ormai ottantenne e malandato, ruzzola per le scale all’uscita di un ristorante e una persona che ha assistito alla scena, senza scomporsi, commenta “Albe’, se semo invecchiati”. Semplice constatazione, dettata da una rassegnazione all’inevitabile, più che da una cattiveria gratuita. A Roma, non c’è mito che possa resistere. La città può portarti in cielo e poi abbandonarti nella polvere. Può restare indifferente a chi non è in grado di adattarsi al suo stile, i potenti alla Gianni Agnelli, oppure essere molto generosa con chi sa imparare le lezioni, come Berlusconi, il milanese perfettamente “romanizzato”. Ma, in fondo, Roma abbraccia tutti, figli legittimi e illegittimi, figli di N.N. e scappati di casa. Salvo poi farli scomparire nella sua stretta. È facile amarla. Ma capirla “non è soltanto impossibile, è inutile”, sentenzia D’Agostino. E, alla fine, ognuno svanisce nella luce crepuscolare dell’Impero al tramonto. Tutto finisce in pernacchia. È il regno dell’effimero.

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Già, torniamo a Renato Nicolini. Il geniale creatore dell’Estate romana potrebbe essere uno dei tanti spiriti guida di questo viaggio di D’Agostino e Giusti. Non a caso il film, verso il finale, indugia a lungo sull’assurdo, magnifico happening del Festival dei Poeti di Castelporziano del 1979, secondo l’irresistibile versione di Carlo Verdone. Victor Cavallo, presentatore, è costretto ad arrendersi al caos, al susseguirsi di personaggi improbabili che si impadroniscono del palco e del microfono, dando sfogo a un estro poetico che sconfina nel disagio. Dario Bellezza viene fischiato e sbeffeggiato e manda tutti a quel paese. Finché arriva Allen Ginsberg a intonare un mantra che riporta il silenzio. E pronuncia i versi definitivi: “Il mondo è santo! L’anima è santa! La pelle è santa! Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il buco del culo sono santi! Tutto è santo! Tutti sono santi!”. Ed è un’altra perfetta sintesi di questa Roma rievocata dal film. Un mondo in cui tutto, alla fine, è perdonato. E le ombre e le luci si confondono, fino a diventare una cosa sola.

La fascinazione notturna è irresistibile. E la fotografia di Daniele Ciprì fa di tutto per restituirla, giocando sulle tonalità calde dei fasci di luce, sull’alternanza del colore e del bianco e nero. Ed è un’immagine accogliente, in fondo, da dolce vita, ma di una dolcezza un po’ sudata, esausta. Che tradisce la stanchezza per gli eccessi vissuti. La grande bellezza invecchiata (Paolo Sorrentino è “produttore creativo” del film). Del resto la notte è uno specchio che riporta in quadro il fuoricampo del giorno, della vita ufficiale. È il momento della trasgressione, del “peccato” che si libera dalle catene delle convenzioni e passa, quasi indifferentemente, dalla gioia al Degrado. Il momento in cui partono le note di Quando nasce un amore di Anna Oxa, mentre tutti trombano. Come nell’orge dell’antica Roma, racconta Vladimir Luxuria.

Roberto D’Agostino regge le fila con tutto il suo istrionismo. Marco Giusti lo segue, sornione. Passeggiano pigramente tra le strade, si adagiano le terrazze, ondeggiano mollemente sul Tevere. E conversano con quell’intelligenza ironica e un po’ cialtrona, ma in fondo tenera. Raccontano i luoghi, i celebri locali della notte, il Jackie O’, la Muccassassina, il Degrado appunto, le trattorie frequentate da tutti, il Matriciano ecc. E rievocano una ricca galleria di personaggi, da Craxi a Monica Guerritore, Helmut Berger, Renato Zero. Grazie ai racconti di Verdone, Massimo Ceccherini, Vladimir Luxuria, Enrico Vanzina e poi Sandra Milo, Carmelo Di Ianni, lo storico buttafuori del Jackie O’ che detestava i calzini bianchi… Si procede per aneddoti, rapide notazioni. Come in una specie di diario notturno alla Flaiano, altro, fondamentale, spirto guida. Ma, certo, il modello è su un altro pianeta, resta un marziano. Qui si rimane un po’ sulla superficie, si danza amabilmente sullo stereotipo, come fossimo in una vecchia puntata del Maurizio Costanzo Show. Il film è latitante. Eppur c’è, sottotraccia, una nota nostalgica, una specie rimpianto per un’altra stagione. In fondo, che Roma raccontano D’Agostino e Giusti? Forse una città d’altri tempi, abitata da fantasmi. Se tutto è effimero…

 

Regia: Daniele Ciprì, Roberto D’Agostino, Marco Giusti
Con: Roberto D’Agostino, Marco Giusti, Giorgio Assumma, Massimo Ceccherini, Carmelo Di Ianni, Vera Gemma, Vladimir Luxuria, Sandra Milo, Enrico Vanzina, Carlo Verdone
Distribuzione: Altre Storie
Durata: 91′
Origine: Italia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
1.5 (4 voti)
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