Rossosperanza, di Annarita Zambrano

Le esperienze di vita di quattro ragazzi che si ribellano all’ipocrisia del mondo che li circonda. Un ritratto riuscito, anarchico ed irriverente, con delle note di grottesco.

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Il clamoroso giro di basso di Lullaby è l’incipit di un racconto irriverente e scorretto ambientato nel 1990. Quattro ragazzi problematici, tutti figli di una upperclass nobiliare, vengono rinchiusi in un’esclusiva clinica per la riabilitazione, Villa Bianca, per imparare ad essere “normali”. Sono degli emarginati, una vergogna per un Ancien Régime che nella sua decadenza è cieco dell’orrore in cui li ha fatti crescere, ed ignora il principio di incendio che sta per inghiottirlo. Quattro vite poste su altrettanti punti di rottura, rappresentazione della fine di un’epoca. Insofferenti alla vista di un autorità decrepita, messaggeri di un senso di liberazione da raggiungere attraverso la musica, le feste, la trasgressione, le droghe, il sesso. Apostoli di una sommossa disobbediente fatta di rissa e violenze, fuoco e perversioni. Un insieme orgiastico riunito a danzare sul cadavere di un potere allo stremo, preoccupato di conservare le sue moribonde cerimonie .

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Zena vive dentro una bolla sonora, ha un fratello balbuziente e guarda diffidente il ridicolo circolo ecclesiastico riunito per un ultimo ipocrita encomio davanti alla bara di suo nonno, già trasformata in un altare. Adriano è ossessionato dalla morte della madre, vede il repentino superamento del lutto del padre come un gesto imperdonabile, tanto da immaginare di staccare l’anello dal dito dalla sua nuova amante. Marzia con il suo sadismo, i suoi atteggiamenti disinibiti e provocatori, apre una finestra sul mondo dello spettacolo ed i suoi metodi di reclutamento, con un riferimento abbastanza esplicito alle starlette di Non è la Rai, il programma feticcio di Gianni Boncompagni. Marchettaro ed incendiario, Alfonso è il poco onorevole figlio di un senatore, verso cui manifesta disprezzo vestendo in maniera eccentrica, motivo di imbarazzo per una famiglia altoborghese abituata a proiettare un’immagine rassicurante ma piena di nevrosi. Eppure questi ragazzi considerati non convenzionali, disillusi da un mondo che considera tutto in vendita al giusto costo, con i loro sogni proibiti, la loro manifestazione di disagio, con la voglia di vendetta che li pervade, nel loro nichilismo appaiono l’unica parte sana di un corpo in disfacimento, le uniche maschere spontanee, reazione al disagio ma anche antidoto contro la malattia.

Se non bruciamo come si illuminerà la notte? si chiedeva Bertrand Bonello nel film L’Apollonide – Souvenirs de la maison close. Annarita Zambrano nelle sua struttura episodica spuria e l’uso ellittico del tempo, risulta credibile nel ricorso al grottesco – la tigre in giardino, il pitone di nome Gorbačëv, o nella narrazione adolescenziale della strip card alcolica, nella scoperta del piacere e della masturbazione o nel linguaggio osceno e disinvolto, tanto da costituire qualcosa di abbastanza sorprendente ed originale nel panorama italiano. Più che all’estetica si affida all’etica del simbolismo, alla profanazione dei rituali sociali attraverso l’uso del ridicolo. Ed in questi tratti di visionarietà concettuale semina i germi del contagio, osserva le umiliazioni, indaga l’abuso del privilegio come principio di una disumanità che trova espressione nell’autolesionismo.

 

Regia: Annarita Zambrano
Interpreti: Margherita Morellini, Leonardo Giuliani, Ludovica Rubino, Luca Varone, Elia Nuzzolo, Daniela Marra, Andrea Sartoretti, Antonio Zavatteri, Rolando Ravello
Distribuzione: Fandango
Durata: 87′
Origine: Italia, Francia 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
Sending
Il voto dei lettori
2.2 (5 voti)
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