"Silenzio tra due pensieri", di Babak Payami

Filmare la sospensione, la muta e lenta maturazione di un pensiero. Sfida di cui non rimangono che le tracce, la testimonianza di un film perduto, un film che si trasforma in un altro film, in un altro progetto, anch'esso, a suo modo, sospeso. Questa la condizione di “Silenzio tra due pensieri”, ultima tappa di un cinema ibrido e "sospeso".

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Il cinema iraniano degli ultimi vent'anni vanta come punti di riferimento indiscutibili i percorsi di Kiarostami e di Makhmalbaf, registi che hanno dato origine a loro volta a nuovi sguardi, a nuove ricerche visive e a nuovi manierismi, diramando ulteriormente – o forse congelando, la discussione è aperta – le possibilità aperte da un cinema complesso e tutt'altro che uniforme: se dal lato di Makhmalbaf, dal lato cioè della finzione del reale, della messa in scena poetica del mondo stanno le immagini dei film di Samira Makhmalbaf e di Marziyeh Meshkini, dalla parte di Kiarostami – dalla parte cioè di un cinema inquieto, sempre alla ricerca del suo grado zero, con il desiderio sempre frustrato di annullarsi come dispositivo di riproduzione del reale – stanno i mondi geometrici e un po' manieristi di Jafar Panahi e le interrogazioni ossessive del presente di Babak Payami.

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Quest'ultimo in particolare, sin dai suoi primi film (One more Day e Il voto è segreto) ha mostrato immediatamente di voler lavorare sull'aspetto politico-pedagogico già presente nel cinema di Kiarostami (che in fondo ha iniziato facendo educational per l'infanzia), ampliandone il richiamo all'adesso, all'urgenza del momento che diventa storia, film, evento. Nel cinema di Payami, la tradizione viene interrotta dal moderno (la segretaria del seggio elettorale che gira tra i villaggi iraniani in Il voto è segreto), che si incunea in un mondo apparentemente senza storia e senza tempo. Cittadino iraniano-canadese (ma vissuto per molti anni in Afghanistan), Payami presenta il suo terzo lungometraggio come un film sopravissuto, scarto e resto di un film già finito ma sequestrato dalle autorità iraniane. Il Silenzio tra due pensieri è, come spiega il regista, il momento di sospensione tra due azioni contrapposte, tra un pensiero che guida una scelta e il pensiero opposto che si fa strada nella mente degli uomini e diventa la guida di un'azione diversa, capace di annullare quanto fatto in precedenza. Sfida importante, questa di Payami: filmare la sospensione, la muta e lenta maturazione di un pensiero. Sfida di cui non rimangono che le tracce, le testimonianze di un film perduto, un film che si trasforma in un altro film, in un altro progetto, anch'esso, a suo modo, sospeso.

Il film che circola nelle sale italiane in questi giorni è formato infatti dal montaggio del materiale di prova del film originale, il cui girato è stato sequestrato dalle autorità iraniane subito dopo la fine delle riprese. Dunque, l'urgenza dell'adesso, dell'immediatezza che diventa film, subisce paradossalmente un'ulteriore accelerazione con questo film-traccia, la cui sospensione è in fondo l'allusione ad un altro film, ad altre immagini che non verranno più. Proprio per questo, al di là della schematicità pedagogico-politica che attraversa il film dal punto di vista narrativo, è proprio la sua fragilità, la sua grana incerta ad aggiungere valore a Silenzio tra due pensieri. Il film infatti rovescia il meccanismo dei film precedenti di Payami: ora non è più la Storia ad irrompere nel presente senza tempo dell'Iran, è l'evento che si interrompe, si sospende appunto (l'esecuzione di una donna che viene sospesa per farla sposare con il suo boia: in tal modo ella non sarà più vergine e non andrà in paradiso). Ma, nonostante l'uso di lunghi piani, di inquadrature che ricercano (e non sempre trovano) la durata, l'intensità dei volti e del deserto, e nonostante il fatto che tutti gli eventi drammatici avvengano fuori campo, Payami lascia intravedere la strutturazione drammatica e alquanto schematica del film, (il capo spirituale del villaggio fondamentalista, il boia dubbioso, la ragazza innocente, gli abitanti del villaggio ostili al fondamentalismo, il tragico finale), che in un certo senso finisce per ancorare il film, diminuire l'intensità dei corpi, dei volti e dei luoghi a favore di una tesi da dimostrare, di un terrore da esorcizzare. Ma anche la narrazione rimane qui come traccia che emerge con forza a tratti, in questo film non finito, opera che allude ad un altro film, reperto ibrido, che nel bene come nel male, mostra il duplice percorso del cinema di Payami, sospeso anch'esso tra la pesantezza dell'intenzione, della volontà comunicativa a tutti i costi, e la possibilità di aprire l'immagine, farle scoprire i tempi e i luoghi che sta filmando, nel tentativo di fermare il tempo e di vivere (cinematograficamente) l'evento.

Titolo originale: Sokoote beine do fekr/Silence Between Two Thoughts


Regia: Babak Payami


Interpreti: Maryam Mogaddam, Kamal Naroui


Distribuzione: Istituto Luce


Durata: 95'


Origine: Iran 2003

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